Cento euro all’anno compresi neonati e anziani. Tanto costano le complicanze del diabete a ogni italiano, per un totale di 6 miliardi.
Il conto è presto fatto: il diabete provoca ogni anno 12 mila ricoveri per 100 mila persone e in media una persona con diabete su 4 deve ricorrere al ricovero ogni anno. Il rapporto “Facts and figures about diabetes in Italy 2014”, presentato nel corso della settima edizione dell’Italian Barometer Diabetes Forum, organizzata da IBDO e da Università di Roma “Tor Vergata” con il contributo di Novo Nordisk, snocciola anche altre cifre.
«Azioni immediate per la lotta al diabete risultano quanto mai necessarie soprattutto se si analizza il problema in termini di costi» ,ha detto la presidente del Comitato Scientifico Barometer Forum Simona Frontoni. «I costi del diabete incidono per il 10% sulla spesa sanitaria nazionale: ogni anno ben oltre 11,2 miliardi spesi a causa della malattia. A gravare particolarmente sono proprio le ospedalizzazioni, che pesano per oltre il 58%, circa 6 miliardi di euro, sulla spesa totale per il diabete, mentre i costi per i trattamenti incidono solo per il 7%. Oltre 50 milioni di euro all’anno, inoltre, sono i costi imputabili all’ospedalizzazione in seguito all’ipoglicemia grave, un repentino ed eccessivo abbassamento dei livelli di glucosio nel sangue che può accadere in una persona dopo l’assunzione di alcuni farmaci per la cura del diabete».
Soluzioni? Una strada possibile, spiega Giuseppe Novelli, rettore Università di Roma Tor Vergata, è quella «applicare i metodi della medicina di precisione per capire l’evoluzione della malattia e trovare terapie personalizzate. È come se decidessimo di diventare sarti per confezionare abiti su misura per ognuno di noi. La medicina personalizzata è una medicina che non cura le malattie in modo astratto e impersonale, ma che cura quel malato e anche quel sano, affinché possibilmente non si ammali. Si parte da un presupposto fondamentale: la differenza delle persone, del loro patrimonio genetico e della risposta che ogni gruppo di cellule dà ad una eventuale alterazione genetica. Un puzzle complesso che tiene conto, dunque, della genetica e di una miriade di altri fattori che vanno dallo stile di vita all’ambiente nel quale si vive, dalla storia personale a quella familiare, e che non trascura persino le componenti emotive e psicologiche».
“L’edizione 2014 del Forum, che coincide con l’avvio del semestre di presidenza italiana del Consiglio d’Europa – sottolinea Renato Lauro, Presidente IBDOFoundation - ha visto la partecipazione di oltre 200 esperti di diversa estrazione e diversa provenienza geografica: da Juan Riese Jordà, coordinatore della Joint Action europea contro le malattie croniche (CHRODIS-JA) ad Andrew Boulton, presidente della European Association for the Study of Diabetes (EASD). Tra gli obiettivi che questo progetto si pone c’è quello di applicare i metodi della medicina di precisione, per capire l’evoluzione della malattia e trovare le terapie personalizzate”.
In un contesto internazionale caratterizzato da continui tagli per le risorse alla ricerca, l’area del diabete mellito resta comunque una priorità, come testimoniato anche dallo sviluppo di reti di collaborazione tra accademia, società scientifiche, industrie, associazioni di pazienti e partner istituzionali. La ricerca ha il ruolo fondamentale di consegnare ai pazienti e alla società le conoscenze necessarie per affrontare questa sfida medica ed epidemiologica del terzo millennio. Buone notizie, nonostante le crescenti ristrettezze nei finanziamenti, vengono dal nostro Paese. “Ogni ricercatore italiano ha a disposizione in media appena 8 mila euro l’anno – spiega il professor Enzo Bonora, presidente della Società Italiana di Diabetologia – eppure, nonostante questo, l’Italia continua a mantenere ben saldo il suo quarto posto nella classifica mondiale come H-index. Non solo i ricercatori italiani continuano a produrre lavori di qualità e a pubblicarli, ma sono anche tra i più citati. E’ il cosiddetto ‘Italian paradox’: pochi fondi ma tanta ricerca di ottima qualità”.
E i ‘cervelli’ italiani si fanno ben valere anche all’estero “Sono oltre 15 mila i ricercatori italiani attivi negli Stati Uniti – ricorda il dottor Ranieri Guerra Attaché scientifico presso l’Ambasciata italiana a Washington – praticamente tanti, quanto tutto il comparto ricerca in Italia. E non sorprende visto che negli Stati Uniti i finanziamenti per la ricerca si muovono su altre cifre, offrendo dunque altre opportunità. Nel campo del diabete ad esempio, nel periodo 2011-2014 il Governo ha finanziato ben 439 progetti di ricerca, 75 dei quali sono ancora in corso. Ma il grosso dei finanziamenti proviene dal privato, con un rapporto di 4 a 1 rispetto al pubblico, mentre in Italia mancano proprio gli investimenti privati. Ma per cambiare il sistema non basta la disponibilità finanziaria; fondamentale per attirare investimenti, anche dall’estero, è lavorare con un business plan adeguato, che garantisca una puntuale rendicontazione dell’impiego dei fondi”.
Fonte: tor vergata, Qs, adn
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