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Studi di fase III su Gantenerumab: una speranza per l’Alzheimer

Neurologia Redazione DottNet | 05/12/2014 11:03

La proteina beta amiloide è un peptide la cui isoforma a 40 e 42 amminoacidi è uno dei principali costituenti le placche di amiloide che si trovano nei pazienti con malattia di Alzheimer.

Nei soggetti sani, attraverso una reazione biologica catalizzata dall'alfa-secretasi, la APP (proteina progenitrice dell'amiloide) produce un peptide innocuo chiamato p3.
Per motivi non totalmente chiariti, nei soggetti malati di Alzheimer l'enzima che interviene sull'APP non è l'alfa-secretasi ma una sua variante, la beta-secretasi, che, insieme con la gamma-secretasi catalizza la proteolisi dell’APP e porta alla produzione della beta amiloide.
Tale beta amiloide non presenta le caratteristiche biologiche della forma naturale, ma tende a depositarsi in aggregati extracellulari sulla membrana dei neuroni.


Queste placche innescano un processo infiammatorio che richiama macrofagi e neutrofili, i quali producono citochine, interleuchine e TNF alfa che danneggiano irreversibilmente i neuroni.

Diversi anticorpi monoclonali umani, tra cui bapineuzumab, solanezumab e gantenerumab, sono stati oggetto di studi clinici nel trattamento della malattia dell’Alzheimer (AD).

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Solo però il gantenerumab ha raggiunto la fase III di sperimentazione, poiché ha mostrato nelle precedenti fasi di sperimentazione, significativi benefici clinici nei casi di AD lieve-moderata.

Il gantenerumab è l’unico anticorpo monoclonale completamente di tipo umano, in grado di ridurre i livelli di beta-amiloide nei pazienti affetti da Alzheimer. Il bapineuzumab e il solanezumab sono invece versioni umanizzate di anticorpi murini.

È stato dimostrato che il gantenerumab è in grado di oltrepassare la barriera ematoencefalica legandosi, rispetto ad altri anticorpi, a due regioni del peptide β-amiloide (la regioni N-terminale Ab1-10, e quella centrale Ab19-26), favorendo la rimozione delle placche di amiloide.

Uno precedente studio di 6 mesi su 16 pazienti con AD ha dimostrato che un trattamento dose-dipendente di gantenerumab è in grado di ridurre la deposizione di β-amiloide, con un meccanismo ancora non ben conosciuto, forse stimolando la fagocitosi microglia-mediata.

Due studi di Fase III ancora in corso di sperimentazione stanno valutando gli effetti del gantenerumab in pazienti con demenza prodromica o lieve causata da AD.

Il primo è uno studio  multicentrico, randomizzato, in doppio cieco, placebo controllato, che ha arruolato 799 sui quali si sta valutando l'effetto di gantenerumab sui processi cognitivi utilizzando come strumento di misurazione la tomografia a emissione di positroni (o PET), misurando così  le variazioni dell’attività cerebrale. Questi pazienti di età compresa tra 50-85 anni ricevono per via sottocutanea gantenerumab alla dose di 225 o 105 mg ogni 4 settimane per 104 settimane. Lo studio terminerà a febbraio 2018.

Il secondo studio è uno studio multicentrico, randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo, che sta valutando l'efficacia e la sicurezza di gantenerumab in pazienti con AD mite. Questo studio, iniziato a marzo 2014, ha incluso nella sperimentazione 1000 pazienti di età compresa tra 50-90 anni, a cui sono somministrati gantenerumab o placebo per via sottocutanea ogni 4 settimane per 104 settimane. Lo strumento di valutazione utilizzato è l’ADAS-Cog, un altro strumento di rating delle funzioni cognitive. I risultati dello studio sono attesi per marzo 2019.

Alla fine degli studi ci si attende che il trattamento con gantenerumab, offrirà benefici ottimali per i pazienti, essendo l’unico anticorpo monoclonale completamente umano in grado di agire in maniera selettiva sul peptide β-amiloide.

Per approfondimenti:
Panza F. et All. Efficacy and safety studies of gantenerumab in patients with Alzheimer's disease.
Expert Rev Neurother. 2014 Sep;14(9):973-86.

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