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Il precariato tra depressione e ansia. Studiate le ricette dei medici

Psichiatria Redazione DottNet | 27/01/2015 18:58

Il precariato fa male alla salute mentale: aumenta la probabilità che al lavoratore siano prescritti psicofarmaci e fa salire il rischio di depressione. E' quanto svela uno studio italiano, su milioni di lavoratori lombardi coordinato da Giorgio Vittadini dell'Università di Milano Bicocca. Vittadini lo ha condotto con Francesco Moscone ed Elisa Tosetti, Brunel University di Londra.

Il lavoro, in attesa di essere pubblicato, è stato presentato per la prima volta in un seminario all'Università di San Francisco.  È emersa una relazione di causa-effetto tra precarietà e aumento di prescrizioni di psicofarmaci, e un aumento correlato dei casi di depressione.  "Abbiamo incrociato dati del Ministero del Lavoro sui nuovi assunti in regione Lombardia tra 2007-2011 - spiega Tosetti - coi dati sulle prescrizioni (ricevute dai lavoratori presso il medico di base, studi specialistici, ospedale), per verificare l'impatto della precarietà sulla probabilità di assumere psicofarmaci. In particolare ogni anno abbiamo considerato un campione di circa 2,7 milioni di lavoratori (ogni anno nel campione c'è un ricambio di persone perché alcune sono 'new entry', i ragazzi che cominciano per la prima volta un rapporto di lavoro, altre sono già presenti nello studio dagli anni passati, altre escono dallo studio, gli anziani che vanno in pensione). I risultati - continua - indicano che, a parità di altri fattori, avere un contratto temporaneo, così come andare incontro a frequenti cambiamenti di contratto nell'arco di un anno, aumenta la probabilità di assumere psicofarmaci (antidepressivi, ansiolitici, stabilizzatori dell'umore ecc.)".
 

"E sale il rischio di ammalarsi di depressione - aggiunge Moscone. Un precario ha una probabilità dello 0,6% maggiore di ricevere una ricetta per psicofarmaci. Sembra poco, ma l'impatto della precarietà sulla salute mentale è notevole: se le persone con contratto temporaneo aumentano di circa l'8-10%, allora il numero di depressi cresce dell'1% tra i giovani (18-34 anni), del 2,3% tra i 35-49enni, dello 0,8% tra 50enni e over-50. Abbiamo anche visto che la probabilità di diventare depresso aumenta se si passa da un tempo indeterminato ad uno determinato. Al contrario, se si passa dal determinato al tempo indeterminato la probabilità di ammalarsi diminuisce, ma l'effetto è minore che nel primo caso". "Dal nostro studio, unico in quanto analizza dati amministrativi (e non ottenuti mediante sondaggi), emerge che la salute mentale dei lavoratori con contratti temporanei è più vulnerabile di quella dei lavoratori a tempo indeterminato", sottolinea Moscone. "Si pongono così le premesse - sostiene Vittadini - per un ripensamento degli strumenti di previdenza e assistenza sanitaria legati al lavoro ancora completamente focalizzati sulla salute fisica, e mai su quella mentale".

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fonte: ansa

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