"Ogni cuore è diverso, aiutaci a conoscere meglio il tuo", recita lo slogan della fondazione "Per il tuo cuore-Heart Care Foundation". Che cosa vuol dire "diverso"? Perché la ricerca cardiologica vuole occuparsi di casi strani, addirittura "estremi"? Per personalizzare le cure? Attilio Maseri, presidente e anima della fondazione ci spiega il senso di questa scelta.
«Noi cardiologi non solo siamo diventati bravi a riparare il cuore, ma abbiamo anche imparato molto bene a riconoscere i descrittori del rischio, cioè a individuare i pazienti che rischiano di subire un evento cardiovascolare, come un infarto. Questo approccio è però basato solo su dati statistici, è probabilistico. Possiamo per esempio individuare un gruppo di pazienti ad alto rischio sulla base dei fattori ben noti (colesterolo, pressione, fumo, obesità eccetera) e sappiamo che il 30 per cento di loro subirà davvero un evento entro 5 anni e quindi li trattiamo per prevenirlo. Poiché siamo bravi otteniamo un risultato straordinario: riduciamo la mortalità del 50 per cento. Benissimo. Ma c'è un problema: c'è intanto quel 70 per cento che pur essendo a rischio come gli altri non ha subito danni. E c'è quel 15 per cento che muore lo stesso nonostante i trattamenti, alla faccia delle nostre cure. E noi non sappiamo perché, non sappiamo distinguere tra gli uni e agli altri».
I cuori insomma sono diversi, ma noi li trattiamo tutti allo stesso modo...
«Sono almeno vent'anni che non facciamo un passo avanti, dobbiamo quindi fare un salto di qualità nella ricerca, dobbiamo trovare nuovi obbiettivi. La ricerca di base è sempre più potente, abbiamo microscopi sempre più precisi per affinare le terapie, ma che sono puntati sempre sulle stesse cose.
Società scientifiche ed esperti concordano sulla necessità di agire sull’organizzazione e il monitoraggio – anche attraverso i LEA - e sulla comunicazione per un paziente più consapevole
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