Si tratta della conclusione di un nuovo studio tratto dal Trial WHI che ha incluso oltre 120.000 donne in postmenopausa e con un follow up medio di 8 anni. Durante questo periodo sono stati registrati circa 2.200 infarti del miocardio. Il database, molto ben curato, ha raccolto dati molto precisi delle partecipanti e tra questi la frequenza cardiaca media all'inclusione nello studio.
La frequenza cardiaca > 76bpm è risultata essere legata in maniera statisticamente significativa agli eventi cardiovascolari acuti con un rischio relativo di 1.26 rispetto al quintile con frequenza cardiaca minore ( <62 bpm)p =0,001. Si tratta di un rischio del 26% superiore di avere infarto del miocardio. Il dato è già normalizzato per lo stato di forma fisica che dunque non può essere chiamato in causa per giustificare tali differenze. La frequenza cardiaca media è il risultato dell'equilibrio tra sistema vagale e sistema simpatico. Nelle pazienti con più alti valori di frequenza cardiaca probabilmente prevale la componente adrenergica provocando con maggiore frequenza attacchi cardiaci.
Società scientifiche ed esperti concordano sulla necessità di agire sull’organizzazione e il monitoraggio – anche attraverso i LEA - e sulla comunicazione per un paziente più consapevole
Per colmare questo vuoto, è stato realizzato il Manifesto: “Rischio cardiovascolare residuo: analisi del contesto e delle opzioni terapeutiche, tra innovative strategie di prevenzione e sostenibilità di sistema”
Abbott annuncia la disponibilità in Italia di AVEIR™ DR, il primo sistema di pacemaker bicamerale senza fili al mondo per trattare le persone con un ritmo cardiaco anomalo o più lento del normale. Eseguiti già i primi impianti in Italia
Il documento ha affrontato il tema dell’aderenza terapeutica nei suoi diversi aspetti, sia a livello mondiale che italiano
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