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Fibrillazione atriale ed evidenze dal mondo reale: risultati dallo studio PREFER in AF

Cardiologia Redazione DottNet | 13/02/2019 16:21

A cura del Prof. Giuseppe Patti, Responsabile, UOS Servizi cardiologici, Policlinico Universitario Campus Bio-Medico e Ricercatore Università degli Studi de L'Aquila

La fibrillazione atriale (FA) rappresenta l’aritmia più frequente e la sua prevalenza è in continuo aumento, visto il progressivo invecchiamento della popolazione generale. L'età avanzata predispone alla FA, in cui, rispetto alle età più giovani, si associa ad un ulteriore aumento sia del rischio tromboembolico che di sanguinamento correlato alle terapie antitrombotiche (1). Di conseguenza, gli approcci farmacologici volti a prevenire le complicanze cardio-emboliche della FA nei soggetti anziani possono avere un impatto rilevante sulla morbilità e mortalità cardiovascolare e sull'economia sanitaria. Lo studio randomizzato BAFTA (2) ha dimostrato che, in pazienti anziani (età ≥75 anni) con FA, l'uso di warfarin riduce significativamente le complicanze tromboemboliche rispetto alla terapia con aspirina. Nonostante la dimostrata efficacia del trattamento anticoagulante orale anche nei pazienti anziani, l'età avanzata ed il rischio di sanguinamento ad essa correlato, rappresentano dei predittori di mancata prescrizione e di precoce sospensione della terapia anticoagulante nella FA; altri fattori, spesso concomitanti con un’età avanzata, che limitano nel mondo reale l’impiego della terapia anticoagulate orale sono la presenza di co-morbilità che incrementano il rischio di complicanze tromboemboliche e/o emorragiche, il rischio di cadute, una bassa aderenza terapeutica, la presenza di deficit cognitivi e di fragilità, un basso peso corporeo e l’insufficienza renale. Gli studi su pazienti molto anziani (per definizione età ≥85 anni) con FA che in maniera specifica hanno valutato il beneficio clinico netto della terapia anticoagulante orale e che hanno eseguito un’analisi comparativa della protezione ischemica rispetto al rischio di sanguinamento con le diverse strategie antitrombotiche sono poco.

Questo aspetto è stato recentemente affrontato in un’analisi dello studio PREvention oF thromboembolic events - European Registry in Atrial Fibrillation (PREFER in AF) (3). Il PREFER in AF è un registro prospettico di mondo reale condotto su 7,228 pazienti consecutivi con FA, provenienti da 461 ospedali e 7 paesi europei (Austria, Francia, Germania, Italia, Spagna, Svizzera e Regno Unito). L’analisi sui pazienti di età ≥85 anni ha incluso in totale 505 pazienti. Non vi erano criteri di esclusione specifici per l’arruolamento ed i pazienti erano inclusi indipendentemente dal tipo di FA e di terapia antitrombotica. La terapia anticoagulante orale era essenzialmente rappresentata da farmaci antagonisti della vitamina K (VKAs, essenzialmente warfarin), in quanto il registro è stato effettuato prima della diffusione degli anticoagulanti non antagonisti della vitamina K (NOACs).  Il disegno dello studio comprendeva una visita basale all’arruolamento ed una valutazione clinica al follow-up di 1 anno. Un primo risultato importante del registro PREFER in AF (Figura 1) è stato che il rischio di eventi ischemici [ictus, attacco ischemico cerebrale transitorio (TIA) o embolia sistemica] aumentava progressivamente e linearmente con l’età; in particolare, la percentuale cumulativa di ictus/TIA/embolia sistemica nei pazienti molto anziani era significativamente più alta rispetto a qualsiasi altro range di età inferiore, con un incremento di 2.6 volte rispetto a pazienti di età <75 anni e di 1.6 volte rispetto a quelli di età compresa tra 75-84 anni.

Al contrario, il rischio di eventi emorragici maggiori nei pazienti molto anziani era maggiore rispetto a quello dei pazienti con età <75 anni, ma simile a quello dei pazienti di età 75-84 anni (Figura 2). Nei pazienti molto anziani l’incidenza di complicanze ischemiche senza terapia anticoagulante è risultata superiore rispetto al rischio emorragico legato al trattamento anticoagulante (4.8%/anno versus 4%/anno). Da questi dati si rappresenta in modo chiaro che nei pazienti con FA ed età ≥85 anni la principale preoccupazione clinica dovrebbe essere il rischio tromboembolico legato alla mancata attuazione di un trattamento anticoagulante, piuttosto che la propensione al sanguinamento correlata a tale trattamento.

Nei pazienti molto anziani l'uso dei VKAs si associava ad una riduzione del 36% del rischio di eventi ischemici tromboembolici rispetto all’assunzione di nessun trattamento antitrombotico o di una terapia antipiastrinica (Figura 3A); da notare che tale riduzione era simile nel sottogruppo di pazienti estremamente anziani con età ≥90 anni. A causa del più elevato profilo di rischio basale dei pazienti molto anziani, il beneficio della terapia anticoagulante orale si è tradotto in una diminuzione assoluta di eventi tromboembolici più pronunciata rispetto ai pazienti più giovani (NNT 50). Nelle popolazioni più anziane con FA il rischio di sanguinamenti correlati alla terapia anticoagulante è controverso e discusso. Nello studio BAFTA (2) l'insorgenza di complicanze emorragiche nei bracci warfarin e aspirina era simile, ma negli studi randomizzati il rischio di sanguinamenti può essere sottostimato rispetto a quanto si verifica nel mondo reale, dove sono presenti pazienti a più alto rischio, spesso esclusi dai trials randomizzati. Dall’analisi del registro PREFER in AF (3) sia nei pazienti con età ≥85 anni che con età ≥90 anni l'incidenza di eventi emorragici maggiori legati alla terapia anticoagulante non era superiore a quella osservata con l’uso della terapia antipiastrinica (Figura 3B). Questi dati sembrano quindi mitigare le preoccupazioni sul rischio di sanguinamento correlato all'uso della terapia anticoagulante, rispetto all’aspirina, in pazienti molto anziani con FA. Nel registro PREFER in AF, i risultati sul beneficio clinico netto, in cui erano incluse sia le complicanze ischemiche che emorragiche, ed in cui l’incidenza di eventi avversi è stata “aggiustata” per la mortalità attesa per ogni tipo di evento, appaio cruciali per valutare attentamente il rapporto rischio/beneficio dei vari trattamenti antitrombotici nella FA.

Nella popolazione globale era presente un significativo beneficio clinico netto della terapia anticoagulante orale rispetto al trattamento antipiastrinico o a nessun trattamento antitrombotico (3); è importante sottolineare che vi era un gradiente in questo beneficio in base ai range di età, con un incremento del vantaggio della terapia anticoagulante con l’aumentare dell’età dei pazienti. Le sopracitate analisi del registro PREFER in AF supportano quindi un utilizzo estensivo della terapia anticoagulante anche in pazienti molto anziani con FA. Poiché il rischio di ictus aumenta significativamente con l'età, il beneficio assoluto dell'anticoagulazione è prevalente nelle popolazioni più anziane; tale protezione ischemica supera il rischio di sanguinamento, traducendosi in un beneficio clinico netto della terapia anticoagulante tanto maggiore quanto più elevata è l’età del paziente.  Nonostante le forti sopra-riportate evidenze, i VKAs nei pazienti anziani con FA sono sottoutilizzati, principalmente per il rischio di eventi emorragici correlato alla propensione alle cadute, al basso peso corporeo ed a compromissione della funzione renale, per le interazioni farmacologiche, per insoddisfacenti tempi all’interno dell'intervallo terapeutico (TTR) e per la bassa aderenza al trattamento. Negli studi randomizzati il ​​beneficio dei NOACs rispetto al warfarin era indipendente dall'età ed era mantenuto nei pazienti anziani (4). Potrebbero, tuttavia, esserci remore anche all'utilizzo dei NOACs nei pazienti più anziani, a causa dell’elevata prevalenza di comorbidità, potenzialmente influenzanti gli effetti clinici di questi farmaci. I dati disponibili sui NOACs nelle popolazioni più anziane con FA sono essenzialmente derivati ​​da analisi di sottogruppi degli studi randomizzati di fase III, che, sebbene spesso pre-specificate, hanno incluso un basso numero di pazienti. Sono pertanto necessarie maggiori informazioni sull'efficacia e sulla sicurezza dei NOACs nelle popolazioni anziane, principalmente nell’ambito del loro utilizzo nella pratica clinica del mondo reale, e soprattutto in termini di beneficio clinico netto nei sottogruppi di anziani a più alto rischio emorragico. Al Congresso 2018 della Società Europea di Cardiologia è stata presentata sull’argomento un’analisi cumulativa dei registri PREFER in AF e PREFER in AF PROLONGATION. Quest’ultimo ha rappresentato la continuazione del registro PREFER in AF, con coinvolgimento in genere degli stessi centri Europei e con lo stesso disegno prospettico. A differenza del PREFER in AF, in cui la terapia anticoagulante era rappresentata essenzialmente da VKAs, nel PREFER in AF PROLONGATION tutti i pazienti hanno ricevuto terapia con un NOAC (dabigatran, apixaban o rivaroxaban) per la prevenzione degli eventi tromboembolici correlati alla FA. L’analisi dei due registri ha incluso in totale 3,825 pazienti di età ≥75 anni, suddivisi in base alla terapia anticoagulante con VKAs (N=2,269) oppure con NOACs (N=1,556). L'uso dei NOACs si è associato, rispetto ai VKAs, ad un'incidenza significativamente più bassa dell'endpoint composito netto comprendente sanguinamenti maggiori ed eventi ischemici cardiovascolari (Figura 4). Ciò era principalmente “guidato” da una riduzione del 42% di sanguinamenti maggiori.

Risultati coerenti sono stati osservati nell'analisi del beneficio clinico netto, aggiustato per la mortalità stimata di ciascun tipo di evento avverso. La maggior sicurezza dei NOACs era indipendentemente dalla concomitante terapia antipiastrinica. I pazienti anziani sono in particolare a maggior rischio di sanguinamenti gastro-intestinali e gli studi randomizzati di fase III avevano evidenziato un'aumentata incidenza di emorragie gastro-intestinali con rivaroxaban, dabigatran ad alta dose ed edoxaban ad alta dose. È importante sottolineare che nella sopracitata analisi di PREFER in AF e PREFER in AF PROLONGATION non vi era nessun incremento di emorragie gastro-intestinali nei pazienti anziani trattati con i NOACs. La sicurezza dei NOACs rispetto ai VKAs è stata anche valutata in due sottogruppi di pazienti a rischio particolarmente elevato di sanguinamento: i pazienti anziani con basso “body mass index” (BMI) ed i pazienti molto anziani (età ≥85 anni). La riduzione di sanguinamenti maggiori con i NOACs era mantenuta anche in questi due sottogruppi, con un decremento relativo del 50% nei pazienti con basso BMI e del 56% nei pazienti molto anziani. Nel gruppo NOACs vi era anche una diminuzione significativa di eventi ischemici cardiovascolari (4.1%/anno versus 5.8%/anno nel gruppo VKAs) (Figura 4), essenzialmente dovuta ad un decremento di complicanze ischemiche cardiache. Tale protezione ischemica con i NOACs, tra l’altro descritta anche nello studio ROCKET-AF con rivaroxaban versus warfarin (5), è “intrigante”, ma può essere dovuta all’influenza di variabili confondenti non catturate nei due registri e deve quindi essere considerata con cautela e meritevole di conferma. Nell’analisi di PREFER in AF e PREFER in AF PROLONGATION sui pazienti anziani con FA è stata anche effettuata una valutazione dell’endpoint composito netto (sanguinamenti maggiori ed eventi ischemici cardiovascolari) in base al tipo di NOAC (Figura 5). La maggior parte dei pazienti aveva ricevuto rivaroxaban e la riduzione dell’endpoint composito netto con rivaroxaban rispetto ai VKAs era significativa [odds ratio 0.58 (95% CI 0.40-0.86)]; risultati consistenti, anche se non significativi a causa del ridotto numero di pazienti, erano presenti anche per dabigatran [0.73 (95% CI 0.46-1.15)] ed apixaban [0.73 (95% CI 0.45-1.20)].

In conclusione, dati recenti di mondo reale indicano che l’uso dei NOACs, rispetto ai VKAs, in pazienti anziani con FA è associato ad una minore incidenza di eventi ischemici cardiovascolari e di sanguinamenti maggiori; appare prevalente la riduzione di emorragie maggiori che fornisce il maggior contributo al beneficio clinico netto osservato con i NOACs. L'utilizzo dei NOACs permette anche il superamento di molte limitazioni intrinseche dei VKAs, alcune di esse prevalenti nelle popolazioni più anziane. Pertanto, considerazioni logiche e dati basati sull'evidenza rendono i NOACs i farmaci anticoagulanti di scelta nei pazienti anziani con FA.

Bibliografia

  1. Marinigh R, Lip GYH, Fiotti N, Giansante C, Lane DA. Age as a risk factor for stroke in atrial fibrillation patients. J Am Coll Cardiol. 2010;56:827-837
  2. Mant J, Hobbs R, Fletcher K, Roalfe A, Fitzmaurice D, Lip GYH, Murray E. Warfarin versus aspirin for stroke prevention in an elderly community population with atrial fibrillation (the Birmingham Atrial Fibrillation Treatment of the Aged study, BAFTA): a randomized controlled trial. The Lancet. 2007;370:493-503
  3. Cavallari I, et al. Net clionical benefit of NOACs versus VKAs in elderly patients with atrial fibrillation: a pooled analysis from the real-world PREFER in AF and PREFER in AF PROLONGATION registries. Eur Heart J 2018, P3837
  4. Ruff CT, Giugliano RP, Braunwald E, et al. Comparison of the efficacy and safety of new oral anticoagulants with warfarin in patients with atrial fibrillation: a meta-analysis of randomised trials. Lancet 2014;383:955-962
  5.  Mahaffey KW, Stevens SR, White HD, et al. Ischemic cardiac outcomes in patients with atrial fibrillation treated with vitamin K antagonism or factor Xa inhibition: results from the ROCKET-AF trial. Eur Heart J 2014;35:233-241

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