Diabete e obesità: il grasso “buono” si eredita dalla mamma, quello “cattivo” dal papà. Il “buono” è quello bruno, il “cattivo” è quello bianco.
Uno studio - pubblicato su Nature Communications e condotto dal Dipartimento di Biochimica e Biologia Molecolare dell’Università della Danimarca meridionale, dell’Istituto Max Planck per la ricerca sul metabolismo di Colonia e dell’Università Medica di Vienna – ha dimostrato che il grasso bianco, quello che causa malattie come il diabete, si erediterebbe dal padre, mentre dalla madre si erediterebbe il grasso bruno, quello “buono“, che protegge dall’obesità. Anzi, fa dimagrire.
I ricercatori sono giunti a questa conclusione dopo avere scoperto una nuova funzione del gene H19, che ha un effetto protettivo contro lo sviluppo del sovrappeso e che potrebbe influenzare l’insorgenza di malattie connesse come il diabete o le patologie cardiovascolari.
Un passo indietro è d’obbligo. Nel 2011 viene pubblicato uno studio italiano sulla correlazione tra diabete e obesità. E la scoperta che una cellula adulta può anche cambiare mestiere. Saverio Cinti, direttore dell’Istituto di Anatomia dell’università Politecnica delle Marche, e la sua équipe erano partiti dall’osservazione che tutti i mammiferi, compreso l’uomo, sono dotati di due tipi di tessuto adiposo, due tipi di grasso: il bianco (Wat) e bruno (Bat). Il Wat serve principalmente per accumulare le molecole altamente energetiche che ci consentono di avere un intervallo tra due pasti consecutivi. Il Bat brucia i grassi per produrre calore. Negli animali che vanno in letargo è il meccanismo base del bio-orologio: da svegli mangiano e accumulano l’eccesso nelle cellule del grasso Wat, quando sono in letargo le cellule Bat "bruciano" quanto accumulato. E gli effetti si vedono: un orso è bello ciccione prima di entrare nel sonno stagionale, magro e atletico al risveglio. È dimagrito dormendo.
Ma l’uomo non va in letargo. E allora? «Nell’uomo adulto è presente il grasso bruno – spiegava allora Cinti - anche se il nome trae in inganno, non si tratta di grasso, ma di cellule che bruciano i grassi per produrre calore. Secondo alcuni studi, infatti, se l’uomo si espone al freddo, nel 90% dei casi mostra segni della presenza di grasso bruno attivo. I nostri studi - proseguiva - hanno dimostrato che stimolando il grasso bruno si può migliore il metabolismo. A questo punto, nelle cavie di laboratorio abbiamo provato, con successo, la trasformazione del grasso bianco in bruno, notando che è possibile riprogrammare geneticamente le cellule. Stiamo ora cercando i meccanismi molecolari per farlo nell’uomo adulto». Forse è per questo che c’è chi sostiene che il freddo mantiene giovani. Di certo, vivere al freddo potrebbe riattivare le cellule brune. Gli studi vanno avanti, ma ora si sa anche quale gene è implicato nella differenziazione dei due tipi di grasso.
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