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Mici: fino al 25% dei ricoveri ospedalieri è dovuto a infezioni

Gastroenterologia Redazione DottNet | 27/06/2019 13:35

“Le MICI hanno rischi di infezione sia intrinseci, come malnutrizione, età avanzata e comorbidità, decorso postoperatorio, sia estrinseci, dovuti all’uso di certi farmaci” spiega il Prof. Alessandro Armuzzi, Segretario generale IG-IBD

Il convegno “IBD & Infections – Infezioni nelle Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali. Meeting congiunto IG-IBD SIMIT” si è tenuto a Milano venerdì 28 giugno presso l’Hotel dei Cavalieri. Nel corso dell’evento sono stati sviluppati quattro temi: tubercolosi, infezioni virali, sepsi, prevenzione tramite profilassi vaccinale con un format omogeneo: un infettivologo ha fornito un quadro epidemiologico nazionale; un gastroenterologo su quei tipi di infezione in pazienti affetti da MICI; infine un gastroenterologo e un infettivologo hanno messo il loro patrimonio di conoscenze a disposizione dei partecipanti. Il 

LE INFEZIONI NEI PAZIENTI AFFETTI DA MICI – Il paziente affetto da MICI è riconducibile alla categoria del paziente fragile, cioè quell’insieme di individui con un sistema immunitario compromesso; è il caso di anziani, malati cronici, bambini. In particolare, il paziente affetto da MICI ha un rischio infezione intrinseco e uno estrinseco. “I rischi estrinseci sono dovuti anzitutto al fatto che le MICI colpiscono l’intestino e possono generare malnutrizione, terreno fertile per favorire le infezioni – sottolinea il prof. Alessandro Armuzzi, Segretario Nazionale IG-IBD, Fondazione Policlinico Gemelli IRCCS - Università Cattolica di Roma. – Le MICI inoltre rendono il soggetto vulnerabile e maggiormente esposto ad altre malattie: l’avanzare dell’età e la comorbidità sono altri fattori intrinseci che incrementano i rischi di infezione. Infine, bisogna ricordare che circa il 50% dei pazienti con malattia di Crohn e fino al 20% dei pazienti con colite ulcerosa necessitano di intervento chirurgico entro 10 anni dalla diagnosi: l’intervento espone il soggetto a infezioni nel periodo post operatorio. Ci sono poi i rischi estrinseci, legati all’uso di certi farmaci: cortisone, immunosoppressori, farmaci biologici, e le piccole molecole hanno un rischio infettivo legato alla loro assunzione”.

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I RISCHI DI TUBERCOLOSI – La tubercolosi in Italia è in costante leggero calo. Ciò non toglie che ogni anno ci siano circa 4mila nuove diagnosi, con un’incidenza nazionale di 6,5 per 100mila abitanti. L’aspetto più preoccupante per un paziente affetto da MICI però è un altro: secondo il rapporto della OMS del 2018, il 23% della popolazione mondiale, circa un miliardo e settecentomila persone, ha una tubercolosi latente. “Se il sistema immunitario reagisce subito bene, infatti, il micobatterio della tubercolosi causa un’infezione senza sviluppare la malattia - spiega il Prof. Massimo Galli, Presidente SIMIT - il batterio è costretto a nascondersi in particolari cellule, i macrofagi, ove resta ‘sotto sorveglianza’ per tutta la durata della vita dell’ospite. Può riattivarsi, causando malattia, in circa il 5-10% dei casi: ciò dipende principalmente dalle condizioni (più povertà, più disagio, più riattivazione), dalla durata della vita (riattivazioni nell’anziano fragile), dall’insorgenza di malattie debilitanti e dalla necessità di assumere farmaci immunosoppressori. È questo il caso delle persone con MICI che, nell’eventualità che siano anche portatori di TB latente devono assumere particolari trattamenti. La dovuta attenzione va anche riservata all’accertamento dello stato di infezione tubercolare prima dell’inizio di terapie immunosoppressive”.

I RISCHI DI EPATITE, SEPSI E ALTRE INFEZIONI – Tra le infezioni virali, quelle a cui il paziente affetto da MICI risulta esposto sono soprattutto l’epatite B e C. Sebbene la ricerca scientifica abbia compiuto significativi progressi, trovando anche terapie in grado di eliminare l’HCV in poche settimane e senza effetti collaterali, resta un ampio sommerso, circa 200mila persone che ancora devono essere sottoposte a trattamento; inoltre, alcune categorie più deboli, come detenuti, tossicodipendenti, migranti, possono costituire un serbatoio del virus.

Ci sono poi infezioni virali cosiddette opportunistiche, come l’herpes zoster: senza particolari conseguenze per un paziente con un sistema immunitario efficiente, se contratte da un soggetto immunosoppresso possono avere effetti anche molto gravi.

Uno studio ha dimostrato che oltre il 25% dei ricoveri ospedalieri nei pazienti affetti da MICI sono legati a infezioni. “Tali infezioni, - spiega il prof. Spinello Antinori, Professore Ordinario di Malattie Infettive presso l’Università di Milano – in particolare la sepsi, la polmonite e l’enterite da Clostridium difficile aumentano di quattro volte il rischio di morte. Tuttavia la disponibilità di nuovi strumenti per la diagnosi precoce così come farmaci di nuova generazione permettono di raggiungere percentuali di successo elevate”.

L’IMPORTANZA DEI VACCINI PER I PAZIENTI AFFETTI DA MICI – Le vaccinazioni proposte nel paziente fragile, come quello affetto da MICI, sono molto diverse da quelle per l’infanzia. Oltre che alla protezione individuale, le vaccinazioni destinate al bambino sono necessarie per raggiungere l’immunità di gregge, ossia la copertura del 95% della popolazione, per ridurre la possibilità che un agente infettivo circoli e vada a colpire anche le persone non vaccinate. Nel caso delle vaccinazioni del paziente fragile, l’obiettivo principale è proteggere il singolo individuo immuno-compromesso, una persona fragile che può essere colpita da infezioni più facilmente e in forma più violenta. Inoltre, negli adulti immuno-compromessi, le vaccinazioni attuate in età infantile possono non offrire più copertura. Diventa pertanto utile stabilire con test diagnostici se una persona sia ancora protetta o abbia bisogno di un richiamo vaccinale anche per i vaccini dell’infanzia. “I vaccini possono prevenire le infezioni in pazienti affetti da MICI nella misura in cui si usino i vaccini consigliati dalle Linee Guida nazionali e internazionali – spiega il Prof. Armuzzi. – Oltre alla ovvia profilassi obbligatoria, la profilassi vaccinale annuale contro l’influenza o quella periodica contro lo pneumococco (il batterio che provoca la polmonite) sono particolarmente suggerite, specialmente se siano in corso terapie immunosoppressive. L’ipotesi che si slatentizzi la riacutizzazione di una malattia nel momento del vaccino è totalmente falsa. Le vaccinazioni antiinfluenzale, antipneumococcica, ma anche contro varicella o herpes zoster, sono molto importanti per la prevenzione che possono garantire”.

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