
"Bisogna fare il prima possibile nel fornire i ristori alle categorie sociali e lavorative interessate, per evitare tensioni che potrebbero mettere a rischio la tenuta sociale del Paese"
Meno disposti a rinunciare a tutto ciò a cui hanno rinunciato nella prima ondata dell'emergenza legata al coronavirus, e in balia dei numeri giornalieri dei contagi, che fanno loro vivere una sorta di 'sindrome di accerchiamento': più i numeri crescono, più aumentano anche le restrizioni. Così vengono descritti gli italiani dagli psichiatri nel giorno dell'entrata in vigore del nuovo Dpcm, che prevede misure restrittive per piegare la curva epidemica. E gli specialisti lanciano un allarme: bisogna fare il prima possibile nel fornire i ristori alle categorie sociali e lavorative interessate, per evitare tensioni che potrebbero mettere a rischio la tenuta sociale del Paese.
"Ci sentiamo contenuti nella nostra libertà - evidenzia il presidente della Sip, Enrico Zanalda - dai numeri della pandemia, dal terrore che gli ospedali si saturino, e decidano di non accettare nuovi casi. Rispetto all'altra volta, si è cercato di tenere aperte la maggior parte attività di lavoro, cliniche, la scuola: si cerca di non interromperle , di mantenere le attività produttive, ma è probabilmente ancora più difficile che rispetto alla prima ondata.
Da attenzionare per l'esperto sono "le persone che non hanno lavoro fisso, fino ai 40 anni. Sono più disponibili, se non hanno un minimo di tutela, a un'esasperazione pericolosa". Ma anche i giovani, "i più colpiti dalle restrizioni, ma meno dalla malattia, per il quali è difficile dover rinunciare a vivere certe esperienze di socialità, ad esempio". "È singolare poi - conclude Zanalda - che scontri vi siano stati di più nelle zone meno colpite dalla prima ondata della pandemia: chi ha avuto danni più gravi protesta meno, chi non ha avuto le bare di Bergamo, i morti di Brescia, stenta a comprendere queste misure che, seppur drastiche, servono per la tutela della salute".
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