L’invecchiamento è associato ad una funzione aberrante di molteplici vie di segnalazione e di una serie di fattori che mantengono la salute cellulare.[1]
Abstract
L’invecchiamento è un processo complesso, caratterizzato da bassi livelli di energia, calo dell’attività fisiologica, perdita dell’omeostasi indotta dallo stress e conseguente rischio di malattie e mortalità. Diversi fattori ambientali e fisiologici contribuiscono al processo di invecchiamento. In particolare, negli ultimi decenni sono emersi molti geni, meccanismi genetici e pathway associati alla longevità. Pertanto, una buona comprensione di tali meccanismi è fondamentale per effettuare interventi genetici e farmacologici per invecchiare in modo sano e per il miglioramento delle malattie legate all’età.
L’invecchiamento si manifesta in tutti gli esseri umani con la perdita della capacità di riprodursi, con danni estesi e perdita di funzionalità di organi, tessuti e cellule,[1] ma negli ultimi decenni è stato registrato un aumento della durata della vita.[2] La longevità è ereditabile dal 20% al 40% nelle popolazioni moderne e la sopravvivenza in età estremamente lunghe è una caratteristica che si concentra nelle famiglie longeve.[2] Infatti, in esse sono stati osservati sistemi immunitari migliori ed uno stato metabolico in salute con una maggiore sensibilità all’insulina, un metabolismo lipidico che porta a livelli sani di lipidi plasmatici e la capacità di evitare le malattie legate all’età o un ritardo nel manifestarle.[2] Poiché la longevità presenta un’elevata ereditarietà, l’approfondimento dei fattori genetici può migliorare la nostra attuale comprensione dei meccanismi responsabili della promozione della salute e della riduzione del rischio di malattie.[2]
Negli ultimi decenni, i genetisti hanno identificato molti geni che promuovono la durata della vita in diverse specie.[2]
Il gene APOE codifica per una proteina nota come apolipoproteina E che si lega alle molecole di lipidi per formare le lipoproteine.[2] L’APOE è uno dei geni che risulta essere collegato alla mortalità umana.[2] Infatti, studi su popolazioni europee hanno dimostrato che il gene APOE contribuisce fino al 3,5% alla durata della vita umana.[2] In particolare, in una serie di esperimenti, Finch, Sapolsky e Stanford hanno osservato che l’interazione tra dieta e genotipo gioca un ruolo importante nella longevità.[2] Inoltre, dagli studi emerge che i portatori dell’allele E4 hanno livelli di colesterolo più elevati, con maggiori probabilità di formazione di placche nelle arterie ed un rischio maggiore di malattie cardiovascolari, demenza, ictus e malattia di Alzheimer.[2]
Il gene p53 codifica per una proteina regolatrice del ciclo cellulare responsabile di mantenere la stabilità del genoma, ridurre il tasso di mutazione e sopprimere il cancro.[2] L’espressione regolata delle isoforme di p53 è responsabile del mantenimento dell’equilibrio tra rigenerazione dei tessuti e soppressione dei tumori nei mammiferi.[2] I danni al DNA sono considerati una delle ragioni principali della breve durata della vita ed il gene p53 è responsabile del mantenimento dell’integrità del DNA nelle specie.[2]
La sirtuina (SIRT) è considerata un fattore importante per aumentare la longevità, ritardando la senescenza cellulare: migliora la capacità cellulare di sostenere l’integrità del genoma promuovendo il processo di riparazione del DNA e rendendo il sistema cellulare resistente allo stress ossidativo.[2]
Anche mTOR (mechanistic target of rapamycin, bersaglio meccanicistico della rapamicina) svolge un ruolo chiave nella regolazione della durata della vita: una riduzione della sua espressione e della sua attività prolunga la longevità in organismi modello.[3] Infatti, la proteina chinasi mTOR è alla base di un’importante rete di segnalazione eucariotica che percepisce e integra i segnali ambientali, intracellulari, di nutrienti e fattori di crescita utili a coordinare molti processi cellulari fondamentali, dalla sintesi proteica all’autofagia.[3] Ricerche approfondite hanno rivelato che la rete mTOR disregolata è implicata nella progressione del cancro e del diabete, nonché nel processo di invecchiamento.[3] Pertanto, la proteina mTOR può essere un bersaglio ideale per studiare la sua influenza sull’evoluzione della durata della vita nei mammiferi.[3] In particolare la rete mTOR funziona in due complessi distinti, noti come complesso mTOR 1 (mTORC1) e 2 (mTORC2).[3] Questi coordinano un insieme di processi fondamentali dell’organizzazione cellulare e del metabolismo, come la trascrizione, la traduzione, l’autofagia, il metabolismo e la citoarchitettura. Inoltre hanno molteplici interazioni con altre vie, ad esempio con le vie di segnalazione del fattore di crescita insulinico (IGF, Insulin Growth Factor) e della proteina chinasi attivata dall’AMP (AMPK, 5’ adenosine monophosphate-activated protein kinase).[4]
L’AMPK è una proteina serina/treonina chinasi ed è un regolatore centrale del metabolismo cellulare che coordina importanti funzioni cellulari, tra cui la crescita, l’autofagia, la polarizzazione ed il metabolismo negli eucarioti.[1] L’AMPK rileva il fabbisogno energetico delle cellule, inibisce le vie anaboliche, promuove quelle cataboliche e induce la produzione di ATP.[1] Inoltre, inibisce anche lo stress ossidativo attraverso l’induzione della UCP2 mitocondriale, che reprime la produzione di superossido e l’infiammazione.[1] In particolare, l’attivazione dell’AMPK induce l’espressione della tioredossina, una proteina riduttrice dei ponti disolfuro che impedisce l’ossidazione dei residui di cisteina nelle proteine.[1] Gli effetti antiossidativi dell’AMPK sono mediati anche dall’attivazione del fattore SKN-1/Nrf2 (Nuclear factor erythroid 2-related factor 2) e dall’induzione dell’espressione del gene antiossidativo dell’eme ossigenasi-1 attraverso la segnalazione di Nrf2.[2] Tuttavia, questo percorso viene eroso dall’invecchiamento, privando le cellule dell’insieme di funzioni che ne mantengono lo stato giovanile, portando ad un aumento dello stress ossidativo e del reticolo endoplasmatico, riducendo la rimozione autofagica dei componenti cellulari danneggiati e consentendo l’insorgere dell’infiammazione (inflammaging).[1] Ne consegue la perdita dell’omeostasi energetica che porta all’accumulo di iperglicemia e di grasso, causando una sindrome metabolica che comprende lo sviluppo dell’insulino-resistenza, dell’obesità, del diabete e delle malattie cardiovascolari.[1] Pertanto, la carenza di AMPK esacerba la disfunzione miocardica indotta dall’invecchiamento.[1] Sebbene il meccanismo preciso che ostacola l’attività dell’AMPK nei tessuti che invecchiano non sia chiaro, alcuni fattori, noti per diminuire questa risposta, includono fattori nutrizionali, alcuni ormoni e l’infiammazione presente nei tessuti invecchiati.[1]
In conclusione, la durata della vita degli organismi viventi è altamente flessibile e vulnerabile ai fattori fisiologici interni e alle condizioni ambientali che regolano l’epigenetica.[2] Si ritiene che i livelli di espressione e soppressione di decine e centinaia di geni contribuiscano in modo significativo alla longevità.[2] Inoltre, i pathway associati alla durata della vita regolano la crescita, le funzioni fisiologiche essenziali e la riproduzione degli organismi ma, in condizioni avverse, passano ad una modalità protettiva e di sopportazione dello stress, portando infine a un prolungamento della vita stessa.[2] Pertanto, sulla base di questi meccanismi, si spera di poter aumentare la longevità mantenendo un buono stato di salute, di ridurre le patologie legate all’età, che rappresentano un onere economico significativo per la nostra società, e di elaborare strategie per ritardare l’invecchiamento.[1]
Referenze:
Palleschi: “L’età media elevata dei clinici italiani emerge proprio nel momento in cui si deve fronteggiare una crescente domanda di assistenza dovuta al progressivo invecchiamento della popolazione e all’aumento delle malattie croniche”
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