Il cibo ha in generale una valenza del tutto particolare nel mondo femminile. Da sempre, infatti, la donna ha avuto un legame inscindibile con gli alimenti e il loro consumo: è interessante notare come la preparazione quotidiana dei pasti per i propri cari abbia assunto nei secoli, una valenza emotiva profonda: la donna è divenuta nel tempo fautrice di modificazioni alimentari attraverso metodi conservativi e colture particolari.
Dall’origine la donna è mera corporeità, un involucro che suscita “appetiti”, dall’altra parte vi è il cibo come godimento e piacere; per cui non stupisce che da molti piaceri della tavola le donne sono rimaste escluse, più vicine allo status di cibo che a quello, maschile, di commensale. Nella civiltà dell’opulenza però, tutti sono esposti all’offerta eccessiva di cibo e contemporaneamente alle immagini insistenti e penetranti di corpi perfetti. Quindi, accanto all’esaltazione della forma corporea e al benessere, vi è l’aumento preoccupante dei disturbi alimentari che originano proprio da rappresentazioni eccessive e si diffondono tra le giovani donne occidentali. L’atto del mangiare dunque, è strettamente annodato al problema dell’immagine fisica di sé. Cibo e donna in tal caso diviene trasgressione ma anche controllo sociale, strumento di comunicazione per l’anoressica e la bulimica e presa di coscienza per la terapia.
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