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Diminuisce la mortalità per leucemia: bene la molecola Imatinib

Ematologia | 07/12/2009 20:54

La leucemia non è più una malattia che 'non lascia scampo'. E' il messaggio che arriva dagli ematologi riuniti a New Orleans in occasione del Congresso della Società americana di ematologia (Ash): negli ultimi 10 anni infatti,soprattutto per la leucemia mieloide cronica, la mortalità è diminuita di 10 volte.

A sottolinearlo l'esperto Carlo Gambacorti Passerini (Università di Milano Bicocca e ospedale San Gerardo di Monza); rilevando come questo si debba anche all'efficacia, confermata da un nuovo studio italiano presentato al congresso Ash, della molecola Imatinib da dieci anni terapia 'storica' e di prima linea per questo tipo di leucemia. ''Fino a pochi anni fa - afferma Gambacorti -molti di questi pazienti morivano entro due anni dalla diagnosi; oggi invece non è più così e per la leucemia mieloide cronica, che in Italia conta 15 mila malati con 1.000 nuovi casi l'anno ed è diffusa in tutte le fasce di età inclusi i bambini, la sopravvivenza e' notevolmente cresciuta''. Ciò si deve all'efficacia delle cure: nel caso di Imatinib, la terapia indicata come primaria per questa patologia, la cura, ricorda Gambacorti, va proseguita per tutta la vita.

Era dunque importante, ''a 10 anni dalla messa a punto della molecola, vedere gli eventuali effetti a lungo termine del farmaco: proprio questo - spiega - è stato lo scopo dello studio indipendente che presentiamo al congresso Ash''. Lo studio Ilte (Imatinib long term effects), sottolinea l'esperto, ''è il maggiore studio indipendente di questo tipo: la ricerca ha raccolto adesioni da 24 centri nel mondo ed è stata effettuata su 957 pazienti. Aspetto fondamentale - precisa - è che l'indipendenza del progetto da ditte interessate alla vendita di Imatinib o di molecole in competizione con essa, garantisce imparzialità ed obiettività ai risultati di questa ricerca che è finanziata dall'Aifa, l'Agenzia italiana del farmaco, e sarà finanziata in futuro dalla Regione Lombardia''.
Lo studio è iniziato nel 2005 e proseguirà per arrivare ad un periodo di osservazione dei malati di 10 anni. Significativi i risultati: ''innanzitutto - afferma lo specialista - si è visto che la sopravvivenza dei pazienti è confrontabile a quella della popolazione generale; infatti, meno di un terzo delle morti osservate è dovuto a progressione della malattia, mentre due terzi sono dovute a cause diverse, testimonianza questa della sostanziale riduzione di mortalità ottenuta' con la terapia oggi maggiormente utilizzata''. Inoltre, è stato osservato che i pazienti arruolati non presentano nuovi effetti collaterali anche se devono continuare ad essere monitorati. C'è poi un'altro aspetto da considerare, avverte Gambacorti: ''questo studio ha anche un significato ai fini dell'economia sanitaria. Una parte di questi pazienti infatti, circa un terzo, non mostra più alcun segno di malattia ma ciò nonostante continua per sicurezza ad assumere la terapia''. In futuro, conclude lo specialista, ''si potrà dunque valutare, a fronte di ulteriori studi e test più sofisticati, la possibilità di sospendere le cure in questi malati, con implicazioni economiche notevoli, dato il costo della terapia, per il nostro sistema sanitario nazionale''.

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