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Da Bergamo nuova tecnica per 'riparare' cuore bambini, sperimentata agli Ospedali Riuniti

Cardiologia | 26/01/2010 12:50

Un nuovo sistema di elettrostimolazione, costituito da un piccolo elettrocatetere in grado di garantire una stimolazione più fisiologica rispetto a quella fornita dalle tecniche tradizionali, nell'impianto di pace-maker nel bambino. E' il tema di un articolo pubblicato dal team dell'Unità di elettrofisiologia ed elettrostimolazione del Dipartimento cardiovascolare degli ospedali Riuniti di Bergamo, guidata da Francesco Cantù, sulla rivista scientifica di riferimento della Società europea di cardiologia.
 

Ancora oggi - ricorda una nota - l'impianto di un pace-maker nel bambino presenta numerose problematiche. Durante l'intervento potrebbero verificarsi, a seconda delle dimensioni del bimbo, difficoltà relative al diametro dei vasi rispetto a quello dei cateteri, al posizionamento degli stessi all'interno delle cavità cardiache molto piccole e alla realizzazione di un'apposita tasca doveposizionare il generatore.

L'impianto di un pace-maker deve anche tener conto della crescita fisiologica dei piccoli pazienti e quindi gli elettrodi devono essere posizionati in modo da permettere un progressivo adattamento nel corso degli anni. Cantù e Paolo De Filippo, con i collaboratori Roberta Brambilla e Paolo Ferrero, hanno testato un nuovo sistema messo a punto dall'azienda Medtronic, che permette di raggiungere in maniera sicura e veloce, sia in atrio che in ventricolo, il punto migliore per stimolare adeguatamente l'organo.

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Tale sistema è composto da un sottile elettrocatetere che, grazie alla presenza di lobi espandibili sulla punta, può essere inserito e fissato anche in siti che fino ad oggi non erano considerati adatti. "I risultati ottenuti - assicura Cantù - sono molto incoraggianti. Dopo l'intervento, le condizioni dei 30 giovani pazienti sono state costantemente monitorate e non abbiamo riscontrato complicanze dovute a dislocazioni o rotture dei cateteri. Al momento è ancora presto per valutare le complicanze a lungo termine come l'occlusione venosa, uno dei principali rischi di un approccio transvenoso. Tuttavia, l'assenza di stenosi, ovvero di un restringimento del vaso sanguigno tale da ostacolare o impedire un normale afflusso di sangue, nella vena succlavia di alcuni di questi pazienti, ci lascia ben sperare".
 

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