Sembrerà strano, ma pensare, ragionare, prendere decisioni, su cose che riguardano noi stessi, possono appartenere ad un dominio del cervello differente da quello del ragionare e decidere su oggetti o eventi esterni a noi. Possono essere interessate regioni diverse del cervello, che non è un insieme di neuroni che lavorano tutti per lo stesso obbiettivo, indipendentemente da dove si trovano. Ci sono ad esempio aree cerebrali piccole che, se non funzionano, provocano grandi cambiamenti dell’intera personalità.
La pensione d’invalidità
Ad Elliot, la cui sopravvivenza dipendeva dal fratello, era stata negata la pensione d’invalidità. Il cervello era in ordine, dicevano i dottori; solo problemi psicologici. Le malattie del cervello, tumori, ictus, Parkinson sono riconosciute proprio come malattie; e al paziente non sì da certo la colpa di esserne colpito. Quelle emotive invece, le malattie della mente, sono spesso viste come mancanza di volontà o debolezza caratteriale. Questa distinzione permea ancora la nostra società. Fonte di frustrazione nei poveri ammalati etichettati come colpevoli del loro disagio. Elliot era stato operato di meningioma: un tumore benigno a partenza dalle meningi, le membrane che avvolgono il cervello. Erano state asportate parti del cervello nella zona prefrontale e sopraorbitaria che sono di di collegamento tra la corteccia razionale e il sistema emotivo interno. Per il resto, il cervello era rimasto in larga parte intatto.
La china di Elliot
Elliot prima del tumore era un buon marito e un buon padre. Aveva uno stabile impiego in un rinomato studio legale in cui era considerato per impegno, risultati e applicazione, un modello. Aveva per questo raggiunto un’invidiabile condizione personale, professionale e sociale. Ma dopo l’operazione Elliot non era più Elliot. Eppure le sue doti intellettuali, la sua capacità di muoversi, d’interagire e di usare il linguaggio erano intatte. Al mattino bisognava sollecitarlo per mettersi in piedi e andare al lavoro, dove però non si poteva fare affidamento, per esempio in fatto di scadenze. Quando esaminava una pratica poteva perdersi su un dettaglio e tenere in sospeso tutto il fascicolo per un bazzecola. Oppure abbandonare un’attività per rivolgere la sua attenzione su di un’altra, non portando a termine né l’una né l’altra. Poteva passare tutto un pomeriggio a sceverare un criterio d’ordinamento in base alla data, alla lunghezza, alla pertinenza di un documento. Intanto il flusso del lavoro s’interrompeva. Dopo ripetuti richiami perse il lavoro. Gli venne poi la mania del collezionismo di oggetti inutili, si associò in affari con individui che lo fecero fallire. Al primo divorzio ne seguì un altro, con una donna poco raccomandabile. Tutto ciò nonostante gli avvertimenti dei familiari e degli amici che non riuscivano a capire come mai potesse agire in quel modo, così sciocco. Privo infine di reddito si avviò alla povertà, all’assistenza del fratello e alla ricerca dell’assegno di sostentamento.
Un incontro importante
Dopo che i dottori dissero che era sano non rimase, a questo punto, che chiedere una consulenza. Un neurologo che seguiva casi del genere, il Dr. Damasio accettò e fu una fortuna perché alla fine il necessario assegno d’assistenza arrivò. “Io spiegai” dice Damasio “ che causa dei suoi fallimenti era una condizione neurologica: certo, era ancora fisicamente abile e le sue facoltà mentali erano in massima parte integre; ma era menomata la sua capacità di giungere ad una decisione”. La radice dei suoi mali era un danno ad un settore limitato del cervello, “è corretto affermare che era stato compromesso il suo libero arbitrio”. Elliot era incapace di scegliere. Il neuropsichiatra racconta del suo sbigottimento quando si trattò di fissare il giorno per l’incontro successivo. Mentre sfogliava la sua agenda Elliot si perdeva in interminabili elencazioni dei pro e contro per ogni possibile data, dimostrando di non riuscire a decidersi per un giorno qualunque. Damasio aveva notato, cosa ancora più importante, che Elliot raccontava la sua tragedia come se non fosse lui il soggetto del racconto, con freddezza e distacco. Calmo e rilassato, la sua esposizione fluiva senza sforzo, “mi accorsi che soffrivo di più io nell’ascoltarlo di quanto soffrisse lui”. Perplesso lo sottopose ad un test consistente in visioni d’immagini forti, incidenti sanguinosi, alluvioni, case incendiate, feriti, annegamenti. Lui disse apertamente che non provava alcuna reazione, né positiva né negativa. Immaginatevi voi come vi sentireste nelle medesime condizioni, senza emozioni nell’ascoltare una musica, vedere un’immagine, un volto amico, non provare piacere alcuno. Comprendere ma non sentire alcuna passione, nessun sentimento (1).
Sentimenti e ragioni
L’obeso capisce che non dovrebbe mangiare, l’innamorato che non dovrebbe rendersi ridicolo. Comprendiamo che questa cosa non andava fatta, che quella frase non andava detta. Eppure affermiamo sovente: è più forte di me; così, comunque, mi sento meglio. Una piena comprensione di come funziona la nostra mente richiede una visione integrata. Non basta solo il ragionamento puro, astratto, slegato dal mondo, ma il corpo, la carne, un ambiente sociale. La mente non è distaccata dal corpo e nei pochi momenti che lo fa, il corpo si riprende subito i suoi diritti. Basta un niente e menti eccelse diventano infantili. Un mal di denti e ci crolla il mondo addosso. La rimozione del tumore in Elliot aveva tagliato i collegamenti fra i lobi prefrontali logico-razionali e i nuclei profondi dell’emozione. Con la resezione quindi, era andata perduta la possibilità d’influenza degli stati emotivi sulle scelte del soggetto. Scelte che appaiono facili, senza la base emotiva risultano complesse. La mente è davvero intrisa nel corpo che non abbandona mai, nemmeno quando raggiunge i livelli più raffinati d’attività, quelli che ne costituiscono lo spirito. Anima e spirito, con tutta la loro dignità e misura umana, sono complessi unitari con l’intero organismo. Anche nelle più alte vette raggiunte non bisogna mai dimenticare le loro umili origini. Spesso l’irrazionalità non deriva da una mancanza d’informazioni e di conoscenza. Hitler e Mussolini non erano ignoranti e, a modo loro, sapevano ragionare benissimo. Una ragione però al servizio di un’emotività contorta. Anche gli elettori non votano spesso secondo ragione. Wirthlin, capo sondaggista di Reagan, scrisse che il capo prendeva voti non per le sue posizioni ma perché s’identificavano, si fidavano, lo trovavano genuino. E su quello, non sui programmi, fondò la campagna elettorale. E le stesse campagne furono quelle di George W. Bush. “Ciò” dice Lakoff, “non significa che le posizioni dei candidati sui temi politici non contino nulla. Contano, ma esse tendenzialmente sono simboli di valori, identità, e carattere piuttosto che avere una primaria importanza di per sé” (2). Anche noi in Italia ne abbiamo una cattiva esperienza. La ragione dunque dipende dalle emozioni, non n’è affatto indipendente. Lo dimostrano le persone come Elliot, o coloro che sono colpiti da ictus o altri danni cerebrali che spesso diventano incapaci di provare emozioni o di capire quando gli altri le provano, e, pertanto non riescono più ad agire razionalmente. Ma anche quelli che attorno a noi sembrano 'sani' e sembrano ragionare bene, a causa dei loro diversi sistemi emotivi inconsci, possono prendere decisioni, o avanzare ragioni che ci appaiono incomprensibili. E c’è ne meravigliamo.
Luciano Peccarisi
1) Il caso Elliot è riportato in Damasio A. (1994) Descartes’ Error. Emotion, Reason, and the Human Brain, New York, NY, trad.it. 1995, L’errore di Cartesio, Adelphi, Milano
2) Lakoff G. (2006) Whose Freedom? The Battle Over America’s Most Important Idea, trad. it. 2008, La libertà di chi? Ed. Codice, Torino, p. 222
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