Ha tra i 65 e i 70 anni, con la malattia di Parkinson sensibile alla dopamina, che dura da molti anni e che non è più controllabile con i farmaci. E' questo l'identikit del paziente tipo a cui viene consigliato di sottoporsi a un delicato intervento che consiste nell'inserimento di un pacemaker cerebrale. A spiegarlo è Angelo Franzini, direttore dell'unità operativa di Neurochirurgia III dell'Istituto neurologico Carlo Besta di Milano. "Nella mia struttura abbiamo operato circa 300 persone negli ultimi 10 anni - spiega il neurochirurgo - il miglioramento motorio medio è del 50% e anche la necessità di farmaci si riduce del 50%. Sono risultati molto buoni, soprattutto considerando che il malato passa dall'alternanza di blocchi e movimenti involontari a una situazione stabile.
E' un intervento che migliora molto, dunque, la qualità della vita e anche il suo costo sociale. Sono stati condotti, inoltre, studi di costo/beneficio: si risparmia non solo sui farmaci, ma anche sui caregiver", cioè le persone che prestano assistenza ai parkinsoniani, molto spesso i familiari. "C'è poi - aggiunge Franzini - un 10% di pazienti su cui l'intervento non ha fatto registrare miglioramenti, ma questa cifra è molto bassa se si considera l'età dei soggetti e la durata della malattia; l'altra faccia della medaglia sono, invece, le complicanze: si va dalle emorragie intraoperatorie (nell'1% dei casi) alle infezioni (nel 3-4% dei casi). Ci sono dei rischi chirurgici, ma come per tutti gli altri interventi. Lo possiamo considerare, dunque -assicura l'esperto - un intervento molto efficace".
Fonte: Adnkronos
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