'Nascere e partorire non sono atti esenti da rischi al 100%, ne' per la madre ne' per il bambino. Le statistiche ci dicono infatti che circa una donna ogni 1000 ha un'emorraggia post partum per problemi di coagulazione improvvisa o fatti meccanici dell'utero, per cui si rende necessario o la sua embolizzazione o asportazione'. A spiegarlo è Emilio Arisi, consigliere della Società italiana di ginecologia e ostetricia (Sigo). 'Tutti noi ginecologi - continua - nella nostra carriera ci siamo trovati ad affrontare casi del genere. La differenza può stare nella struttura e nel numero di parti che vengono fatti ogni anno. C'è differenza ovviamente tra un ospedale piccolo, magari senza tutti gli strumenti adatti, dove partoriscono 500 donne l'anno e uno dove sono oltre 2000. La differenza sta nel come la sala parto è organizzata per affrontare le difficoltà'. I rischi durante il parto ci sono sia per la donna che per il bimbo, 'che può riportare danni neurologici, più frequenti nei parti prematuri, a volte anche per patologie congenite o mancato sviluppo del piccolo'. E a volte i problemi possono sorgere 'per l'imperizia o la mancanza di attenzione da parte degli operatori - conclude Arisi - Quel che è certo è che la sicurezza assoluta non esiste. Come Sigo e Aogoi (Associazione ostetrici ginecologi ospedalieri italiani) abbiamo fatto delle linee guida sul parto cesareo e le emorragie post partum. Ma sul cesareo è difficile rispettarle, sia per la paura di una causa da parte dei medici, sia perché molte pazienti lo richiedono, ignorando che è 10 volte più pericoloso del parto naturale vaginale'.
- CESAREO: Anche se il nostro Paese ha un tasso di mortalità per parto tra i più bassi al mondo (3,9 decessi ogni 100.000 nati vivi) siamo i primi in Ue per il ricorso ai parti cesarei che hanno rischi da 2 a 4 volte maggiori rispetto ai parti vaginali. Sono gli ultimi dati di un recente rapporto dell'Istituto superiore di sanità che ha definito allarmante il fenomeno e per questo ha messo a punto linee guida limitative per il ricorso alla pratica.
- DATI IN AUMENTO: La media del numero dei cesarei è del 38% contro l'indicazione massima del 15% raccomandata dall'Organizzazione mondiale della Sanità. Le punte massime si registrano al Sud, con in testa la Campania con il 62% di cesarei. Si è passati dall'11% del 1980 al 38% del 2008, ben al di sopra dei valori riscontrati negli altri Paesi europei. Si registra, inoltre, una spiccata variabilità su base interregionale, con percentuali tendenzialmente più basse nell'Italia settentrionale e più alte nel Sud, probabile indizio, afferma l'Iss, di ''comportamenti clinico-assistenziali non appropriati''. E questo, avvertono gli esperti, nonostante tale intervento presenti comunque dei margini di rischio consistenti: il rischio di mortalità materna per cesareo è infatti da 2 a 4 volte superiore rispetto al parto vaginale.
- TREND NORD-SUD: I valori più bassi sono stati registrati al Nord e in Toscana (8 morti per 100.000 nati vivi) e quelli più elevati nel Lazio (13 morti per 100.000 nati vivi) e in Sicilia (22 morti per 100.000 nati vivi).
- FATTORI DI RISCHIO: I risultati dello studio hanno evidenziato che il rischio di mortalità materna raddoppia quando l'età della donna è pari o superiore ai 35 anni. Nel 2007, la proporzione di nascite in donne di 35 o più anni è stata del 29%, mentre nel 1981 era appena del 9%. Il taglio cesareo è risultato associato a un rischio di morte materna pari a 3 volte quello associato al parto spontaneo. Tuttavia, parte di tale aumento di rischio è in realtà da attribuire alla patologia che ha reso opportuno il cesareo e non all'intervento chirurgico in sé.
- MORTALITA’ PER PARTO: Il rapporto di mortalità materna in Italia si attesta a 11,9 ogni centomila nati vivi. E' il dato rilevato dall'Istituto superiore di sanità in un rapporto del 2010 che evidenzia come i numeri ufficiali che si basano solo sui certificati di morte delle pazienti sottostimino 'del 75% il fenomeno'. Lo studio ha analizzato i dati su oltre 1000 nati in cinque regioni(Piemonte, Emilia-Romagna, Toscana, Lazio e Sicilia) rappresentative di tutto il territorio nazionale, incrociando 'schede di dimissione dall'ospedale e certificati di morte'. La mortalità materna, spiega infatti Serena Donati, ricercatrice dell'Iss 'è complessa da rilevare, perché vanno valutate le conseguenze fino a 42 giorni dopo il parto. Anche gli altri Paesi che hanno fatto questa verifica sui dati hanno riscontrato percentuali di sottostima simili'. Lo studio ha rilevato una discreta differenza regionale da nord a sud che varia da 2 a 7 volte di più rispetto alla media nazionale. I valori più bassi sono stati registrati al Nord e in Toscana (8 morti per 100.000 nati vivi) e quelli più elevati nel Lazio (13 morti per 100.000 nati vivi) e in Sicilia (22 morti per 100.000 nati vivi). Dallo studio emerge anche che il rischio di mortalità materna raddoppia quando l'età della donna è pari o superiore ai 35 anni, che sono più a rischio 'le donne che si sottopongono al parto cesareo rispetto a quello naturale, le donne a bassa istruzione e le straniere'. Includendo anche Piemonte e Provincia autonoma di Trento, all'Iss hanno verificato anche i casi di 'near miss', cioè di donne arrivate vicino alla morte per complicanze legate alla gravidanza, 'per capire le cause che determinano queste morti, che sono sì eventi rari, ma comunque drammatici'. Peraltro, ricorda l'esperta, si stima che 'il 50% delle morti materne siano evitabili'. Eventi che potrebbero essere evitati 'con diagnosi tempestive o assistenza adeguata''. Le cause della morte materna sono 'per la maggior parte dirette, legate a complicazioni ostetriche'. Al primo posto si muore infatti per 'emoraggia ostetrica, la seconda causa sono le trombombolie, mentre al terzo posto ci sono i disordini ipertensivi legati alla gravidanza'.
- PROCREAZIONE ASSISTITA: Diminuisce l'età delle coppie che diventano neo-genitori grazie alla procreazione medico assistita: solo nel 2010 l'età media delle mamme si e' abbassata di un anno rispetto al 2009, scendendo per la prima volta sotto la soglia dei 35 anni. Il dato, in controtendenza rispetto all'aumento dell'età media di chi affronta la prima gravidanza, emerge dalle statistiche del centro svizzero di procreazione medico assistita ProCrea di Lugano. Secondo i dati Istat 2008, il 5,7% dei nati ha avuto una madre con almeno 40 anni (si è passati dai 12.383 nati nel 1995 ai 32.578 nel 2008). Sempre nel 2008, l'età media della prima gravidanza in Italia si è assestata a 31,1 anni, circa un anno e mezzo in più rispetto al 1995 quando era 29,8. Ringiovaniscono, invece, le coppie che realizzano il sogno della maternità rivolgendosi alla procreazione medico assistita: 'Per la prima volta, guardando ai dati parziali del 2010, nelle donne che hanno affrontato un percorso di fecondazione assistita, è stato abbattuto il 'muro' dei 35 anni al concepimento - commenta Luca Jelmoni, direttore di ProCrea - L'età media delle donne che rimangono incinte si sta infatti assestando intorno ai 34,3 anni, contro la media di 35,6 anni registrata solamente lo scorso anno. Questo trend dimostra una crescente attenzione della donna, e della coppia in generale, al tema della fertilità'. Del resto, l'età è il principale nemico della fertilità e questi dati lo dimostrano, sottolinea Michele Jemec, medico esperto in medicina della riproduzione di ProCrea. Una donna viene considerata pienamente fertile fino a circa 30 anni, poi inizia una lenta fase di diminuzione della fertilità, fino ai 35 anni. Dopo i 40 anni, le possibilità di una gravidanza si abbassano notevolmente. E i dati di successo nei trattamenti di procreazione medico assistita lo confermano. Sulle circa 4mila coppie trattate negli ultimi tre anni dallo staff di ProCrea, le tecniche di medicina della riproduzione con cicli a fresco hanno dato esito ad una gravidanza in più del 50% dei casi nelle donne fino ai 30 anni, mentre la percentuale di successo cala al 17% nella fascia di età tra i 40 ed i 42 anni. Per il gruppo La sanità che vorremmo, clicchi qui.
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