In Italia ci sono troppi centri di cardiochirurgia, che andrebbero razionalizzati sia per diminuire i costi che per la sicurezza dei pazienti. Lo hanno affermato gli esperti della Società Italiana di Chirurgia Cardiaca in chiusura del congresso nazionale a Roma. Secondo i numeri presentati sono 107 i centri abilitati, che effettuano circa 40mila interventi l'anno: "Questi sono nati tutti senza una programmazione, e soprattutto in tempi di crisi dovrebbero essere razionalizzati - ha affermato il presidente uscente della Sicch Alessandro Mazzucco - si pensi che in Germania sono 80. Si dovrebbe stabilire un numero minimo di interventi l'anno tra i 500 e i 1000, rapportato alla popolazione a rischio, e una sessantina di centri sarebbe sufficiente".
D'accordo anche il nuovo presidente della Società, Antonio Calafiore, che ha ricordato come la cardiochirurgia italiana sia ai primi posti in Europa per qualità: "La decisione di tagliare non è mai stata presa - ha aggiunto - anche per effetto di corporativismi locali". Più razionalità sarebbe necessaria anche per le scuole di specializzazione: "Il Ministero della Ricerca sta chiudendo diverse scuole - ha sottolineato Mazzucco - e di per se' questo potrebbe essere un male, ma andrebbe fatto con l'aiuto di chi conosce la disciplina. Una possibilità sarebbe ad esempio di riunire i corsi di chirurgia cardiaca, vascolare e toracica, che ora sono divisi". Un discorso analogo vale per la chirurgia pediatrica: "Ogni anno nel nostro paese sono 4500 i bambini che nascono con una cardiopatia congenita, e di questi 3500 subiscono un intervento chirurgico, metà durante il primo anno di vita - ha spiegato Sonia Albanese, presidente della sezione di chirurgia pediatrica della Sicch - in Italia ci sono 16 centri abilitati, e anche qui sarebbe necessaria una razionalizzazione".
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