I farmaci per prevenire l'ictus, previsti nel trattamento dei pazienti con fibrillazione atriale vengono prescritti solo a poco più della metà dei malati. Così oltre 400mila persone non ricevono il trattamento più efficace. 'Mancate terapie' che arrivano al 50% tra i pazienti provenienti da reparti di medicina interna e si attestano a oltre il 30% fra quelli dimessi dalle cardiologie. Lo rivela uno studio realizzato dall'Associazione nazionale medici cardiologi ospedalieri (Anmco) e dalla Federazione delle Associazioni dei dirigenti ospedalieri internisti (Fadoi), presentato in occasione del congresso dell'Anmco (a Firenze dall'11 al 14 maggio) e di quello Fadoi (dal 15 al 18 maggio sempre nel capoluogo Toscano).
Le ragioni che spingono i medici a non prescrivere gli anticoagulanti orali sono molteplici: difficoltà nella gestione dei farmaci a disposizione, problemi organizzativi, scelte del paziente o controindicazioni al trattamento. Ma anche la paura degli effetti collaterali, le difficoltà a rispettare la regolarità delle analisi del sangue e l'età avanzata dei pazienti, che aumenta il rischio di complicazioni. "Si tratta della prima fotografia della gestione della fibrillazione atriale scattata nel nostro Paese - spiegano i coordinatori dello studio, Giuseppe Di Pasquale dell'Anmco e Giovanni Mathieu della Fadoi - Abbiamo coinvolto 7.148 pazienti curati in 164 centri cardiologici e 196 centri di medicina interna, registrando come venivano trattati per capire anche se esistono margini per un miglioramento terapeutico". A conti fatti "è senza dubbio così - dicono gli esperti - visto che in questa patologia le prescrizioni 'inadeguate' sono molto frequenti". La fibrillazione atriale è l'aritmia cardiaca più diffusa: in Italia i pazienti sono circa 800mila. Il pericolo maggiore connesso a questa patologia è il rischio di ictus: le 'turbolenze del cuore' associate alla fibrillazione aumentano la probabilità di formazione di trombi a livello cardiaco che possono staccarsi e, quando accade, nel 90% dei casi arrivano al cervello provocando un ictus.
Società scientifiche ed esperti concordano sulla necessità di agire sull’organizzazione e il monitoraggio – anche attraverso i LEA - e sulla comunicazione per un paziente più consapevole
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