Una recente ricerca presentata da Douglas C. Bauer dell’American Society for Bone and Mineral Research (ASBMR) ha riscontrato che una doppia supplementazione giornaliera con acido folico e vitamine B6 e B12 non si è rivelata efficace per la riduzione del rischio di fratture non vertebrali in un ampio studio randomizzato, controllato e in doppio cieco su donne con malattia cardiovascolare o fattori di rischio multipli. Un'analisi secondaria degli outcome relativi alle fratture in 5.442 operatrici sanitarie di età superiore ai 42 anni che avevano partecipato allo studio WAFACS (Women’s Antioxidant and Folic Acid Cardiovascular Study) ha evidenziato un'incidenza complessiva del 7,6% di fratture non vertebrale nell’arco di una media di 7,3 anni di trattamento e nel follow-up nel gruppo che prendeva gli integratori, a fronte di un’incidenza simile, pari al 6,9%, nel gruppo placebo. Le partecipanti allo studio WAFACS (pubblicato su JAMA nel 2008) avevano una malattia cardiovascolare nota o fattori di rischio cardiovascolare.
Gli endpoint primari dello studio erano il tasso di eventi cardiovascolari e quello di mortalità per qualunque causa, nello studio si è riscontrato che gli integratori hanno dimostrato di non avere effetto in nessuno dei due casi.
La nuova analisi retrospettiva dello studio WAFACS, presentata all’ASBMR, è stata effettuata perché alcuni precedenti studi osservazionali avevano concluso che l’omocisteina elevata e i bassi livelli di vitamina B12 sono associati ad un aumento del rischio di fratture.
La correlazione emerge per la prima volta da uno studio condotto presso l'Università della California, a Riverside, e pubblicato sul Journal of Clinical Investigation Insight
I ricercatori del Labanof dell’Università Statale di Milano hanno esaminato due scheletri di donne e dei loro feti, con deformità attribuibili all'osteomalacia, una patologia legata alla fragilità ossea e associata alla carenza di vitamina D
Lo rivela uno studio effettuato su 1771 studenti di 48 scuole elementari pubbliche di Madrid
La pratica potrebbe salvare 820.000 vite l'anno
La correlazione emerge per la prima volta da uno studio condotto presso l'Università della California, a Riverside, e pubblicato sul Journal of Clinical Investigation Insight
I ricercatori del Labanof dell’Università Statale di Milano hanno esaminato due scheletri di donne e dei loro feti, con deformità attribuibili all'osteomalacia, una patologia legata alla fragilità ossea e associata alla carenza di vitamina D
Lo rivela uno studio effettuato su 1771 studenti di 48 scuole elementari pubbliche di Madrid
La pratica potrebbe salvare 820.000 vite l'anno
Commenti