Uno studio condotto dall’Università di Baltimora (Maryland - USA) in collaborazione con la II Università degli Studi di Napoli ha definito i meccanismi patogenetici che stanno alla base della “gluten sensibility” (GS). Di recente, infatti, lo spettro dei disordini correlati al glutine si è arricchito di una nuova condizione morbosa definita “gluten sensibility “ (sensibilità al glutine). L’interesse verso questa condizione è in continuo aumento, come testimoniato dalla “First International Consensus Conference” tenutasi a Londra - 12 Febbraio 2011).
I primi risultati sperimentali mostrano che nella GS non si registrano alterazioni della permeabilità intestinale che si osservano invece nella celiachia.La permeabilità intestinaleè stata valutata utilizzandouna sondalattulosioe mannitolo, esono stati raccolticampioni biopticidella mucosaper studiarel'espressione digeni. Nella GS il marcatore dell’integrità della barriera intestinale, la proteina CLDN4 risulta aumentato, risulta invece ridotto nella celiachia.
Solo nella GS si registrano nella mucosa elevati livelli di TLR2 (marcatore dell’immunità innata).
Nella celiachia si registrano nella mucosa elevati livelli di IL-6 e IL-21 (marcatori dell’immunità adattativa).
In altre parole, mentre nella celiachia l’ingestione di glutine attiva un meccanismo di tipo autoimmune, nella GS sembra coinvolto un meccanismo immunitario innato. La GS non dispone al momento di marcatori anticorpali specifici atti ad identificarla e l’unica alterazione immunologica che è possibile ritrovare è la positività per anticorpi antigliadina di prima generazione (AGA) che vengono ritrovati positivi nel 40-50% dei pazienti.
Bibliografia: Sapone et al. Divergence of gut permeability and mucosal immune gene expression in two gluten-associated conditions: celiac disease and gluten sensitivity. BMC Med. 2011 Mar 9;9:23.
La correlazione emerge per la prima volta da uno studio condotto presso l'Università della California, a Riverside, e pubblicato sul Journal of Clinical Investigation Insight
I ricercatori del Labanof dell’Università Statale di Milano hanno esaminato due scheletri di donne e dei loro feti, con deformità attribuibili all'osteomalacia, una patologia legata alla fragilità ossea e associata alla carenza di vitamina D
Lo rivela uno studio effettuato su 1771 studenti di 48 scuole elementari pubbliche di Madrid
La pratica potrebbe salvare 820.000 vite l'anno
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