Le minacce contro il Governo alla fine hanno sortito il loro effetto: le professioni sanitarie sono tutto sommato quelle che meno hanno risentito dell’effetto liberalizzazioni, al contrario di altre categorie investite dal provvedimento in maniera decisamente più radicale. Vediamo allora di tracciare un bilancio a pochi giorni dall’approvazione delle norme varate dal Governo Monti. Cominciamo, per esempio, dall’abolizione delle tariffe (in effetti quelle massime in campo medico non sono mai esistite mentre le minime sono state cancellate da Bersani); l’opzione, non più l’obbligo quindi, di presentare un preventivo scritto, questa volta solo su richiesta del paziente, riguarda solo i medici che erogano le prestazioni in cliniche non convenzionate e studi privati.
Col risultato di avere effetto sugli interventi, più che sulle visite o le diagnosi. Inoltre, ma sempre su richiesta del paziente, il chirurgo dovrà mettere nero su bianco il costo di ogni voce legata all’intervento, dall’anestesia all’assistenza. Escluse dalle norme anche quelle sul tirocinio più breve e da svolgersi anche in università, ad esempio. Come abbiamo già evidenziato nei giorni scorsi, è andata bene – anche se in parte – sull’obbligo d’inserire in ricetta la dizione sui farmaci equivalenti da erogare al paziente in alternativa a quelli di marca, da parte del farmacista, se il prezzo è inferiore. Imposizione, quest’ultima, che alla fine è stata rimodellata: la regola varata prevede che i camici bianchi possono scrivere in calce alla ricetta "sostituibile" oppure "non sostituibile", ma anche niente.
Le proteste dell’intersindacale contro le difficoltà del settore
Intanto i sindacati si appellano al Governo e alle Regioni affinché forniscano risposte alle “legittime e reiterate richieste” dichiarandosi pronti a proclamare “lo stato di agitazione” contro le condizioni di lavoro “sempre più gravose e rischiose” con il timore che il Patto per la Salute diventi un “puro regolamento di conti”. L’intersindacale dei medici denuncia “il peggioramento delle condizioni di lavoro, sempre più gravose e rischiose, la ricorrente invadenza legislativa che rischia di limitare la autonomia professionale, l’attacco alle casse previdenziali, l’assenza di volontà di separare politica e carriere professionali”. L’unione delle quindici sigle sindacali dei camici bianchi sono “preoccupate per la fase recessiva del Paese e della Sanità, oggetto di un definanziamento che ne mina la sostenibilità in tutte le Regioni” e che aumenta “l’insoddisfazione e il malessere” di medici. Per questo le organizzazioni sindacali di categoria tornano a chiedere ascolto a Governo e Regioni e annunciano di essere pronte a dichiarare lo stato di agitazione per avere risposte “a legittime e reiterate richieste” e per “continuare ad assicurare ai cittadini la qualità dei servizi sanitari”. “La crisi del sistema sanitario – afferma la nota dell’intersindacale - rende non più rinviabile un nuovo Patto sociale con i professionisti senza il quale anche il nuovo patto per la Salute finirà con il tradursi in un puro ‘“regolamento di conti’, costringendo il sistema a rincorrere le varie manovre economiche con grave danno per i cittadini e senza speranza di continuare a garantire equità e universalismo”. Le organizzazioni sindacali chiedono inoltre provvedimenti che: migliorino le condizioni di lavoro, intervenendo sul blocco del turnover, sul rispetto dell’orario di lavoro e dei periodi di riposo, sull’obbligo di sostituzione delle assenze per gravidanza; impediscano il continuo ricorso ai contratti atipici, stabilizzando gli attuali precari; recuperino le prerogative contrattuali a livello aziendale; garantiscano il diritto alla libera professione, con le modalità di cui all’Accordo Stato-Regioni del 2010; restituiscano certezza al sistema di valutazione professionale, destabilizzato dalle manovre economiche. “E’ urgente – continuano i sindacati - anche un atto legislativo che, a partire dalla definizione dell’atto medico, intervenga in tema di responsabilità professionale di fronte al crescere del contenzioso, alimentato da comportamenti opportunistici, da carenze organizzative e strutturali, da incaute norme legislative”. Le manovre economiche 2010-2011 – concludono i rappresentanti dell’alleanza - hanno fatto cassa con le buste paga dei soliti noti ed il decreto salva-Italia ha elevato di sei anni l’asticella dell’età di quiescenza senza tenere conto delle caratteristiche del lavoro sanitario, in alcuni settori particolarmente usurante. Penalizzazioni non previste nei confronti del lavoro privato”.
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