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Farmaci oncologici: disponibili solo in quattro regioni. Troppe spese per il servizio sanitario nazionale

Sanità pubblica Redazione DottNet | 16/05/2012 18:20

Solo in 4 regioni, Lombardia, Piemonte, Friuli Venezia-Giulia e Marche, e nella Provincia autonoma di Bolzano vengono recepite immediatamente le indicazioni registrative dell'Aifa (Agenzia Italiana del Farmaco) sui nuovi farmaci anti-tumorali. In tutte le altre, dotate di un proprio prontuario, i farmaci nuovi non vengono resi disponibili ai malati fino a quando non vengono esaminati e approvati anche da Commissioni tecnico-scientifiche regionali.

 La denuncia e' della Favo (Federazione italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia), che ne parla nel IV Rapporto sulla condizione assistenziale dei malati oncologici presentato oggi al Senato. ''Con l'Associazione Italiana di Oncologia Medica (Aiom) e alla Societa' Italiana di Ematologia (Sie) abbiamo inviato una lettera al Ministro della Salute Renato Balduzzi per evidenziare questa situazione - spiega Francesco De Lorenzo, presidente Favo - Dall'autorizzazione internazionale di un farmaco alla delibera che ne permette l'immissione in commercio in Italia trascorrono in media dai 12 ai 15 mesi. E ulteriori ritardi sono determinati dai tempi di latenza per la messa a disposizione a livello regionale dopo le approvazioni degli enti regolatori internazionali e nazionali''. Lentezze che creano disparita' tra pazienti italiani e europei e tra malati di Regioni diverse.

''Se la Commissione regionale ha dato parere favorevole, il farmaco antitumorale e' introdotto nel prontuario anche dopo 50 mesi, per alcuni farmaci in alcune regioni - aggiunge Stefano Cascinu, presidente Aiom - L'accordo della Conferenza Stato-Regioni del 2010 non ha contribuito a sanare le disuguaglianze tra i malati italiani''. Per questo si chiede a Balduzzi di stabilire nel nuovo patto per la salute che per ''specifiche fattispecie (come i tumori) il parere dell'Aifa sia non derogabile e immediatamente valido in tutte le Regioni, ed individuare criteri condivisi per definire il grado di innovativita' di un nuovo farmaco in oncologia''. 

I costi del servizio pubblico

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In Italia per i servizi ospedalieri non sanitari (lavanderia, utenze telefoniche, mensa, consumo energetico, smaltimento rifiuti etc.) il Ssn spende circa 4 miliardi e mezzo. Troppi, a giudicare dai diversi livelli di spesa tra Regione e Regione. Con una gestione della spesa più accorta si potrebbe infatti risparmiare fino a 2 miliardi di euro, circa il 40–55% della spesa globale. E' il risultato della ricerca sui costi dei servizi non sanitari a carico del Ssn, condotta da Ageing Society–Osservatorio terza età, illustrata oggi a Roma nel corso del convegno 'Anziani e Welfare: quale sostenibilità?'. Lo studio è stato eseguito passando al setaccio i bilanci delle Regioni e delle Asl. Per questo tipo di servizi la spesa media in Italia per giornata di degenza è pari a 63 euro, ma le differenze regionali risultano però particolarmente marcate. Si passa, infatti, dai 22 euro al giorno della Lombardia ai 111 del Friuli e ai 92 dell'Umbria. E ancora: 57 euro in Piemonte; 75 in Valle d'Aosta; 76 in Veneto; 69 in Liguria; 71 in Emilia Romagna; 78 in Toscana; 61 nelle Marche; 44 nel Lazio; 57 in Abruzzo; 50 in Molise; 63 in Campania; 58 in Puglia; 64 in Basilicata; 49 in Calabria; 41 in Sicilia; 61 in Sardegna; 45 nella Provincia autonoma di Bolzano e 79 in quella di Trento. L'Ageing Society ha quindi messo a confronto il costo medio nazionale dei singoli servizi e quello medio rilevato nelle Regioni più virtuose. Applicando quest'ultimo valore ed estendendolo a tutte le Regioni, secondo l'Osservatorio, sarebbe possibile recuperare risorse per un miliardo e 690 milioni di euro circa. A fronte di una spesa totale pari a 4 miliardi e 436 milioni di euro circa. Le tabelle dello studio parlano chiaro: motiplicando ad esempio il numero dei giorni di degenza (74 milioni) per il costo medio del servizio lavanderia (7,74 euro) si ottiene una cifra (303 mln euro) molto più bassa rispetto al costo attuale (491 mln euro). Adottando lo stesso criterio si otterrebbero corposi risparmi anche per il servizio pulizia (352 mln euro); per il servizio mensa (286 mln euro); per lo smaltimento dei rifiuti (145 mln euro); per le utenze telefoniche (56 mln euro); per quelle elettriche (169 mln euro). Insomma, considerando tutti i servizi non sanitari, complessivamente si potrebbe rispiarmare fino al 40/55% della spesa globale riducendola di circa 2 miliardi di euro. L'Osservatorio ha infine messo a confronto tre Asl, non solo per la collocazione geografica, ma anche per i diversi disavanzi di bilancio. Anche in questo caso lo studio rileva macroscopiche differenze come ad esempio quelle per i costi giornalieri delle utenze telefoniche che vanno dai 3,27 euro della Asl di Pieve di Soligo ai 20,10 della Asp di Cosenza. "E' evidente – ha affermato Emilio Mortilla, presidente di Ageing Society – che, di fronte a quanto emerso dallo studio, l'indignazione e la rabbia degli anziani e dei diversamente abili, che subiscono più di altri gli effetti della crisi economica, dei tagli alle pensioni e ai servizi socio-sanitari, non può che essere altissima".

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