Gli ultimi dati del Ministero della Salute, sulla percentuale del Prodotto Interno Lordo impegnato in sanità privata, mette in genere l’Italia, rispetto ai paesi europei, agli ultimi posti. Le cifre parlano di un PIL dell'1,8%, contro Germania, Grecia ed Inghilterra dove sfiora il 3%.
Nella geografia nazionale c’è poi da rilevare che la regione Lombardia da sola impegna il 60% del PIL privato nazionale in sanità. Il resto infrastrutturale del territorio nazionale ci fa capire quanto sia distante dagli standard dell’Unione Europea. L’Abruzzo non è da meno e al suo interno offre una geografia della sanità privata davvero anomala, perlomeno con localizzazioni e servizi non uniformi tra le quattro province .
Il Territorio teramano è caratterizzato solo da larvature di sanità privata e la realtà genera un deficit alle casse regionali di importo rilevante e non prevedibile (mobilità passiva) verso le strutture private, soprattutto della regione Marche.
Le strategie attuate, dalla vigente dirigenza aziendale teramana, per limitare il fenomeno sono state inadeguate. L’incerto utilizzo dei locali distrettuali di Martinsicuro (la fine ingloriosa del centro dialisi), l’impropria tipologia e delocalizzazione della specialistica ambulatoriale del distretto e la gestione rivisitata dei concorsi a primario di reparti fulcro, come la chirurgia generale del presidio di S.Omero hanno fatto il resto. A ciò va aggiunto uno stato locale della viabilità inadeguato, che automaticamente drena a mo di bacino naturale, tutta l’utenza del litorale nord abruzzese verso le strutture private sopracitate, che accolgono a braccia aperte le utenze e le professionalità in fuga da ambiti che non danno più occasioni di stimolo.
Nella revisione del welfare in periodi di crisi economica, la mission del sistema pubblico è volto in primis al soddisfacimento di settori strategici quali l’emergenza e l’eccellenza . Tutto il resto deve essere lasciato ad una libera concorrenza pubblico verso privato che abbatti i costi ed elevi la qualità del prodotto offerto .
Va superato il concetto di privato visto come occasione di profitto; esiste anche il privato sociale, che opera con logiche diverse dalla stretta visione dell’intervento economico privatistico .
Il tutto servirebbe per rimettere il malato al centro dell’attenzione, lasciandogli la scelta di chi dovrà curarlo: il soggetto pubblico o privato a parità di costi. La logica dei conti tra breve imporrà una netta distinzione fra chi fornisce servizi e chi li compra, cioè le aziende sanitarie, al fine di garantire che chi controlla non sia chi gestisce; cioè che chi opera non sia chiamato anche a controllare la qualità dell’atto compiuto.
In una rivista di settore del Regno Unito (l’Italia copia sempre dopo) è comparso un articolo, dal titolo "Redefining competition in health care", il quale si occupa di ridefinire il concetto di concorrenza nell’assistenza sanitaria. All’interno di questo lavoro viene sottolineato che la sanità si è fatta vincolare da una serie di meccanismi per i quali si è arrivati all’impossibilità di chiudere i bilanci in pareggio. L’aspetto più preoccupante di questo è lo scadimento della qualità dei servizi offerti In effetti all’interno di un sistema costantemente in passivo è molto difficile pensare di conservare livelli di qualità elevati, ed è invece realistico ipotizzare un loro peggioramento. La soluzione proposta dai ricercatori inglesi consiste nell’iniettare nel sistema una consistente dose di competizione e di concorrenza. Il meccanismo rivoluzionerebbe tutto in quanto anche nel pubblico entrerebbero elementi vitali privatistici veri e non fittizi come gli attuali; si pensi ad esempio alle logiche contrattuali.
Con queste aspettative è urgente aprire un dibattito e chiamare le forze politiche, gli operatori del settore e le Università a contribuire ad una elaborazione autonoma della Regione Abruzzo sul pianeta sanità, che superi le visioni ideologiche e gli steccati di appartenenza.
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