Ospedali piccoli: no alla chiusura Si alla loro trasformazione in ospedali di comunità. Una delle ultime dichiarazioni riferite al pianeta sanità del nostro presidente regionale, recita che mantenere aperti ventiquattro ospedali in Abruzzo è un lusso che non possiamo più permetterci .
Che fino ad oggi siamo vissuti con parametri di rapporto impropri in riferimento ai servizi offerti è da ascrivere all’evidenza che qualsiasi procedura tendente al riordino della rete di assistenza ha avuto un impatto stridente con la geografia e la viabilità del nostro territorio regionale ; a tal proposito cito le considerazioni della Dr.ssa Achard , consulente scientifica del ministero della sanità , che nel corso di un master presso l’Università degli Studi dell’Aquila in riferimento al riordino della rete ospedaliera , si è soffermata lungamente sul riassetto della nostra viabilità .
Altri parametri di riferimento che possono aiutare a comprendere la direzione giusta da intraprendere derivano necessariamente dallo studio epidemiologico e demografico ; questo ci impone ad esempio un ridisegno del rapporto tra reparti materno-infantili e servizi geriatrici e la loro distribuzione sul territorio al fine anche della individuazione di poli di eccellenza .
Per iniziare a ragionare in questi termini è necessario che il livello decisionale politico della nostra regione si rapporti strettamente con il nostro patrimonio accademico regionale : abbiamo la fortuna di avere un alto livello formativo con due facoltà di medicina e chirurgia e un istituto epidemiologico diretto dal magnifico rettore dell’università degli studi dell’Aquila Prof. F. Di Orio che rappresenta una punta di eccellenza nazionale . Nella situazione attuale , in procinto di provvedimenti radicali , si ha la necessità del loro coinvolgimento più che il dispendio di risorse per consulenti esterni o di importi di modelli di regioni vicine .
Il tutto deve essere visto nell’ottica visuale della globalità , altrimenti si rischia di essere parziali ; non si può pensare di fare economia con progetti di ridimensionamento di servizi quali le guardie mediche perché ritenute troppo onerose , quando ad oggi non esiste un piano per la gestione dei codici bianchi impropriamente a carico dei servizi di emergenza .
Certo l’economia ha le sue leggi inderogabili ; se le risorse non ci sono o vanno tagliati i servizi o si aumenta l’onere contributivo . Anche se chi ha inventato il welfare oggi applica un altro metodo per compensare i crescenti oneri ; l’out of poket proporzionato per livello di reddito ( Inghilterra ) .
Quale può essere la soluzione da intraprendere per il ridisegno della rete ospedaliera ? Per i piccoli ospedali sicuramente una loro trasformazione e l’ospedale di comunità rappresenta di certo una soluzione praticabile ; la regione Toscana con l’ospedale di Camerata costituisce un esempio da prendere a modello .
La best practice insegna che l’ospedale di comunità riduce i ricoveri impropri negli ospedali tradizionali , fornendo una risposta di livello appropriato alla necessità assistenziale espressa , fermo restando la qualità assistenziale e contenendo i costi di degenza per il minore impegno economico rispetto ad un ospedale classico .
Coinvolge maggiormente il medico di famiglia con un uso più ragionato delle risorse e dei percorsi assistenziali , valorizza il lavoro di equipe con le strutture distrettuali e soprattutto rende possibile la continuità assistenziale . E’ un mezzo tutto sommato per avere maggiore gradimento ed apprezzamento dei malati e dei loro familiari , evitando la spersonalizzazione del paziente .
Un mezzo in definitiva per realizzare la necessaria flessibilità assistenziale che generalmente viene richiesta in caso di complicanze delle malattie croniche legate all’invecchiamento e nelle condizioni al limite della non autosufficienza , anche in considerazione del fatto che l’ospedalizzazione tradizionale spesso peggiora la qualità di vita dell’assistito anziano .
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