(Corte di Cassazione, 9 luglio 2012 , sentenza n. 11462)
Le ferie non godute a causa di un periodo di malattia vanno sempre compensate con il pagamento dell'indennità sostitutiva. E non importa se il contratto collettivo di appartenenza dice diversamente, perché siamo di fronte a un diritto non comprimibile e tutelato dalla Costituzione. Lo ha chiarito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 11462/2012, accogliendo la domanda (al momento del collocamento a riposo) del direttore dei servizi amministrativi di un istituto tecnico commerciale di Assisi a cui la Corte di appello di Perugia aveva negato l'indennità in quanto le assenze non erano motivate da "esigenze di servizio". A norma del contratto di categoria, infatti, era questa l'unica ipotesi in cui scattava il diritto al pagamento.
Una tesi bocciata dalla Cassazione che richiama l'art. 36 della Costituzione in cui si parla di un diritto «a ferie annuali retribuite, e non rinunciabili». Dunque, al lavoratore che non ha goduto del riposo spetta sempre il pagamento delle ferie non godute che oltre ad avere carattere risarcitorio per «la perdita del bene» (mancato recupero delle energie psicofisiche, impossibilità di dedicarsi alle relazioni familiari e di svolgere attività psicofisiche), hanno anche «natura retributiva» costituendo il corrispettivo «dell'attività lavorativa resa in un periodo che, pur essendo di per sé retribuito, avrebbe invece dovuto essere non lavorato perché destinato al godimento delle ferie annuali».
Non solo, siccome nel caso specifico il dirigente non ha potuto fruire delle ferie perché malato, il diniego di pagamento va anche contro la giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Ue. In particolare, i giudici europei hanno chiarito (sentenze C-350/06 e C-520/06) che l'articolo 7 della direttiva 2003/88 deve essere interpretato nel senso che sebbene la norma nazionale possa stabilire dei limiti temporali per il godimento delle ferie dalla loro maturazione, non è ammissibile escludere tale diritto all'indennità finanziaria sostitutiva quando i dipendenti siano in congedo per malattia.
Per la Cassazione, dunque, la corte territoriale ha sbagliato laddove ha dato per buone le indicazioni contrattuali di categoria «mentre avrebbe dovuto rilevare l'illegittimità di tali disposizioni nella parte in cui contrastano con i sopra esposti principi di diritto».
Infine, è d’obbligo ricordare per completezza d’informazione che il recente decreto sulla spending review ha introdotto all’art. 5, comma 8, il principio, riservato per ora esclusivamente ai dipendenti pubblici (compresi quindi anche i medici dipendenti), dell’impossibilità di monetizzare ferie, riposi e permessi non goduti anche in caso di cessazione del rapporto di lavoro per mobilità, dimissioni e pensionamento. Si rimane quindi in attesa di eventuali precisazioni da parte degli organi legislativi competenti.
Se il medico o l’odontoiatra dipendente, a 65 anni di età, ha raggiunto il diritto alla pensione (cioè ha 42 anni e 10 mesi di anzianità contributiva più tre mesi di finestra se uomo e 41 anni e 10 mesi se donna), deve essere collocato a riposo
Quando ad essere accentrati sono periodi contributivi particolarmente lunghi, il costo può diventare importante e divenire un deterrente spesso insuperabile
L’integrazione, in Enpam, è curata dal Servizio Trattamento Giuridico e Fiscale delle Prestazioni, dell’Area della Previdenza.
Il cedolino è già disponibile, mentre i pagamenti partiranno a inizio mese
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