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Progetto Mpact contro il tumore del pancreas: due nuovi farmaci aumentano la sopravvivenza e la qualità della vita

Oncologia Redazione DottNet | 08/02/2013 21:15

Il tumore del pancreas è uno dei cinque cosiddetti 'Big Killer': la maggior parte dei pazienti che ha questo tipo di cancro non sopravvive ai primi mesi dalla diagnosi e, dopo 5 anni, la mortalità si attesta al 95%. Per questo sono importanti i risultati della sperimentazione Mpact, che combinando due farmaci oncologici ha scoperto un aumento del 59% nella sopravvivenza a un anno e un tasso di sopravvivenza raddoppiato in due anni.  In Italia, il carcinoma del pancreas rappresenta il 3% dei tumori totali ma, con il 7% all’anno di decessi, si attesta come la quarta causa di morte dopo i 50 anni nell’ambito delle patologie oncologiche.  

Questi numeri sono solo un primo passo per capire questa patologia. Il tumore del pancreas è silenzioso, con uno sviluppo spesso rapido e aggressivo, e particolarmente resistente ai farmaci. Quasi asintomatico al suo esordio, si manifesta solo quando, crescendo, le cellule tumorali invadono gli altri organi, quali stomaco e intestino, compromettendone la funzionalità. Il paziente e i suoi familiari si trovano, quindi, ad affrontare uno stadio avanzato della malattia, senza prospettive di cura efficaci, e con gravissime conseguenze immediate, fisiche e psicologiche.  «La diagnosi di tumore del pancreas – dichiara il Salvatore Siena, Direttore della Divisione di Oncologia Falck, Dipartimento Oncologico, Ospedale Niguarda Ca’ Granda di Milano (clicca qui per vedere la video intervista) - significa, per noi oncologi, comunicare al paziente e ai suoi familiari una tra le prognosi più infauste. Nella maggior parte dei casi, ci troviamo di fronte ad uno stadio del tumore che ha raggiunto livelli molto difficili da contrastare: questo si traduce in una probabilità di sopravvivenza che si calcola, generalmente, nell’arco di mesi, cui si aggiunge il carico dato dalla miriade di sintomi provocati dall’estensione della neoplasia ad altri organi. Le cellule tumorali pancreatiche, infatti, sono particolarmente resistenti ai farmaci, che non riescono a bloccarne lo sviluppo, ma solo a rallentarne in modo estremamente limitato la crescita.»  Questo scenario dà la misura della rilevanza della sperimentazione denominata MPACT (Metastatic Pancreatic Adenocarcinoma Trial), uno studio clinico di fase III in pazienti affetti da adenocarcinoma metastatico in stadio avanzato non operabile. I risultati sono stati presentati al congresso dell’American Society of Clinical Oncology – GastroIntestinal (ASCO GI) 2013, tenutosi a San Francisco a fine gennaio.  La sperimentazione MPACT ha valutato l’efficacia dell’associazione di Nab paclitaxel (paclitaxel legato all’albumina in nano particelle) con gemcitabina, evidenziando un aumento del 59% nella sopravvivenza a un anno e un tasso di sopravvivenza raddoppiato a due anni (9% vs. 4%). «Questo studio è importante – spiega Michele Reni, Coordinatore Area Attività Scientifica, U.O. Oncologia Medica, IRCCS San Raffaele di Milano (clicca qui per vedere la video intervista) – perché riguarda l’adenocarcinoma, che rappresenta il 95% dei casi di tumore al pancreas, sia perché, dopo aver assistito negli ultimi 15 anni ad una lunga serie di sperimentazioni negative,  finalmente abbiamo un nuovo farmaco su cui contare per il trattamento dei pazienti affetti da questo tumore. La somministrazione dell’associazione Nab paclitaxel e gemcitabina non solo ha dimostrato di poter aumentare la sopravvivenza e il tempo libero da progressione, ma anche di poter ottenere questo risultato con una tossicità accettabile e, attraverso la presenza del Nab paclitaxel, di aggredire, in particolare, il tessuto tumorale, piuttosto che i tessuti sani.» Il successo di questa associazione è, infatti, dovuto alla presenza del paclitaxel racchiuso in un guscio di albumina in nano particelle (Nab).

Le nanoparticelle di paclitaxel e albumina sono infatti compatibili con una componente fondamentale del sangue, l’albumina, e ne mimano la funzione. Questo permette da una parte alle molecole di paclitaxel di uscire dal flusso sanguigno con maggiore facilità, e di raggiungere le cellule tumorali in concentrazione maggiore, dall’altra di penetrare più facilmente all’interno delle cellule tumorali, aumentando la potenza del farmaco. Inoltre Nab paclitaxel non necessita  di solventi, che sono causa di molti degli effetti collaterali di altri farmaci anti-tumorali.  «L’uso della nanotecnologia nel farmaco Nab paclitaxel – afferma Giampaolo Tortora, Direttore U. O. C. Oncologia Medica, Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona (clicca qui per vedere la video intervista) – sfrutta i meccanismi utilizzati dalle cellule tumorali per nutrirsi, e per agire contro al tumore. L’albumina entra nelle cellule tumorali legandosi ad una proteina chiamata SPARC (Proteina Acidica Secreta e Ricca in Cisteina). Il Nab paclitaxel, essendo legato all’albumina, sfrutta il legame di quest’ultima con SPARC per far entrare, subdolamente, nella cellula tumoraleil paclitaxel che, una volta rilasciato, aggredisce le cellule neoplastiche.  Quindi, il Nab paclitaxel agisce come un cavallo di Troia, utilizzando e ingannando i processi vitali delle cellule tumorali.» MPACT è uno studio di fase III promosso da Celgene Corporation, un’azienda biofarmaceutica globale fondata nel 1986, che ha scelto come missione di migliorare la salute dei pazienti in tutto il mondo, cercando di studiare farmaci realmente innovativi per le neoplasie del sangue, i tumori solidi, le patologie infiammatorie più severe. «Il nostro impegno giorno dopo giorno – precisa il Pasquale Frega, Amministratore Delegato di Celgene Italia (clicca qui per vedere la video intervista) – è trovare soluzioni in grado di cambiare la qualità della vita dei pazienti che soffrono delle patologie più gravi. Negli ultimi cinque anni abbiamo investito il 28% del nostro fatturato in Ricerca & Sviluppo: questo dato è una dimostrazione chiara del nostro impegno, così come la storia recente dei farmaci che abbiamo lanciato.» Forti di questi risultati, il prossimo passo che potrebbe essere utile sarà lo studio dell’associazione Nab paclitaxel con gemcitabina in pazienti ad uno stadio meno avanzato del tumore pancreatico. «Oggi, abbiamo confermato che questo farmaco funziona – afferma il professor Michele Reni – in pazienti ad uno stadio della malattia particolarmente avanzato. Il prossimo passo sarà, quindi, quello di verificarne l’efficacia in chi si trova ad uno stadio più precoce nella speranza che, contrastando la malattia quando è meno sviluppata, i risultati in termini di sopravvivenza siano ancora migliori. Ma non solo: potremo studiare anche altre associazioni di farmaci basate sul Nab paclitaxel, che potrebbero dare risultati ancora più promettenti.»

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