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Epatite C, studio italiano premia peginterferone alfa-2a

Farmaci Redazione DottNet | 05/11/2008 11:26

La terapia con peginterferone alfa-2a promette ai malati di epatite C migliori tassi di guarigione rispetto ai trattamenti con altri interferoni peghilati. A 'incoronare' il farmaco è uno studio italiano indipendente, presentato al congresso dell'American Association for the Study of the Liver Disease. L'epatite C - ricorda una nota di Roche - è la forma di infezione cronica più comune trasmessa attraverso il sangue e colpisce 180 milioni di persone nel mondo, di cui un milione e 800 mila solo in Italia, con una prevalenza 4 volte superiore all'infezione legata al virus dell'Aids Hiv. Il virus dell'epatite C (Hcv) è la principale causa di cirrosi, cancro del fegato e insufficienza epatica, sottolinea la casa farmaceutica.

Il trial presentato al meeting Usa - coordinato da Massimo Colombo, direttore della I Divisione di gastroenterologia e del centro 'A.M. Migliavacca' per lo studio del fegato dell'università degli Studi di Milano - ha coinvolto 431 pazienti, assegnati a caso al
trattamento con peginterferone alfa-2a o con peginterferone alfa-2b, sempre in associazione a ribavirina. I risultati dimostrano tassi di guarigione notevolmente superiori nei pazienti trattati con peginterferone alfa-2a/ribavirina rispetto a quelli trattati con peginterferone alfa-2b/ribavirina (66% contro 54%), si legge nel comunicato. E la differenza appare ancora più pronunciata nei pazienti con forme virali più difficili da trattare, ovvero infettati dai genotipi 1 o 4 (48% contro 32%).

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I due regimi terapeutici hanno mostrato inoltre un profilo di sicurezza e tollerabilità simile. "Il nostro studio combina il rigore di un trial randomizzato e controllato all'applicabilità generale di uno studio condotto nel 'mondo reale' - dice Colombo - dal momento che comprende tutti i pazienti della nostra clinica che avevano intrapreso la terapia contro l'epatite C e che soddisfavano i criteri basali di inclusione". I dati, precisa l'esperto, provano che "le percentuali di successo del trattamento nel mondo reale possono essere comparabili a quelle ottenute nei trial clinici", e che il trattamento con peginterferone alfa-2a consente "a un numero assai più elevato di pazienti" di arrivare a guarigione, conferma.

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