Non tutti i bimbi asmatici sono uguali. E a fare la differenza - quanto a sintomi - spesso è il carattere dei genitori. Secondo un gruppo di ricercatori statunitensi, infatti, se mamma e papà hanno grandi aspettative sulla capacità dei figli di condurre una vita normale, i piccoli asmatici incappano in meno crisi e sintomi fastidiosi rispetto ai coetanei con lo stesso problema, ma genitori meno 'ottimisti'. Non solo. I bimbi sono più bravi a usare le terapie anti-asma in modo appropriato se hanno memorizzato una routine ad hoc, e se i loro genitori hanno ben compreso come si deve fare per controllare i sintomi dell'asma. Lo studio, pubblicato su 'Pediatrics', è stato condotto dai ricercatori del Department of Ambulatory Care and Prevention dell'Harvard Medical School, dell'Harvard Pilgrim Health Care e della Boston University (Usa).
Per la ricerca sono stati seguiti oltre 700 genitori di bambini tra i 2 e i 12 anni con asma persistente, seguiti in due strutture a Boston. "I nostri risultati suggeriscono che le aspettative dei genitori e le loro percezioni sono fattori chiave, capaci di influenzare il controllo dell'asma dei figli, ma anche la loro capacità di usare i medicinali appositi in modo efficace". I bimbi erano più a rischio di episodi problematici se i loro genitori avevano scarse aspettative sulla capacità dei figli di controllare bene l'asma. Stesso dicasi per i bambini che non avevano imparato una routine chiara per prendere gli anti-asma. Insomma, per migliorare la vita dei piccoli asmatici la chiave può essere quella di agire sui genitori, convincendoli che con i giusti accorgimenti i piccoli potranno avere una vita il più possibile normale.
Esame analizza 32 proteine ed è in grado di predire chi ha più probabilità di aver bisogno di cure o di morire per queste patologie
Lo rivela un ampio studio presentato al Congresso della European Respiratory Society (ERS) a Vienna da Anne Vejen Hansen dell'Ospedale Universitario di Copenaghen
I pazienti che hanno ricevuto un trattamento diretto dallo pneumologo hanno avuto un minore utilizzo successivo dell'assistenza sanitaria per malattie respiratorie rispetto a quelli che hanno ricevuto cure abituali
Lo ha accertato uno studio internazionale in collaborazione fra l'Università francese Paris-Saclay, e quelle di Padova, Napoli Federico II e altri atenei stranieri
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