Presidio sanitario o impresa commerciale? E’ l’eterno dilemma dal quale prende le mosse la ricerca sulle prospettive della distribuzione farmaceutica condotta da Federico Spandonaro, direttore del Ceis Tor Vergata di Roma, per conto di Federfarma. Presentata dal suo autore all’assemblea nazionale del sindacato, l’indagine fa una somma dei problemi che affliggono la Sanità pubblica e di quelli che gravano sulla farmacia italiana, senza però dimenticare sull’altro piatto della bilancia opportunità e motivi di speranza.
Ne risulta una fotografia in chiaroscuro, compreso lo stato di salute dell’impresa farmacia. «Le analisi condotte» ha detto Spandonaro «dicono che oggi nessuna farmacia consegue un utile dalla ricetta Ssn». Dalla fascia C riescono invece a tirare fuori qualcosa le farmacie medio-grandi, ma per tutte la vera fonte di ricavi tali da giustificare l’attività d’impresa è l’extrafarmaco. «La conferma» ha proseguito Spandonaro «arriva dal fatto che l’utile delle piccole farmacie è in media molto contenuto, attorno ai 24mila euro prima delle tasse, e diventa risicato per le rurali sussidiate, circa 19mila. Sembrano salvarsi soltanto le farmacie urbane, che (grazie all’area di libera vendita) registrano un utile prima delle imposte attorno ai 110mila euro. «Grosso modo» ha semplificato Spandonaro «lo stipendio di un dirigente medico del Ssn». Per salvaguardare la marginalità, quindi, bisognerà da un lato portare a compimento la riforma della remunerazione e dall’altro allargare l’extrafarmaco, dove una riflessione approfondita la meritano i servizi. «Dati e indagini» ha ricordato Spandonaro «dicono che ormai gli italiani che per l’assistenza spendono di tasca propria sono il 60%. La parte del leone in questa spesa la fanno le cure odontoiatriche, ma subito dopo c’è l’assistenza agli anziani. I servizi sociosanitari saranno certamente uno dei fronti dove nei prossimi anni le farmacie potrebbero giocare un ruolo decisivo». E per farlo, non occorre aspettare le convenzioni con il Ssn o accordi con Asl e ospedali: «I fondi integrativi privati possono diventare un interlocutore interessato delle farmacie» ha ricordato Spandonaro «e poi c’è la domanda diretta, quella di pazienti e famiglie. La competizione, qui, si giocherà sulla qualità del servizio». Sull’etico rimborsato, invece, la battaglia da combattere dovrà essere difensiva. «Sarà già un buon risultato convincere la politica a non abbassare ulteriormente il budget annuale per la Sanità» è il parere dell’economista «anche se gli argomenti ci sono: attualmente, infatti, il nostro paese spende in media il 35% in meno dell’Europa a 12».
Il dettaglio della ricerca. L’analisi è stata suddivisa in quattro parti: un'analisi delle caratteristiche peculiari del bene distribuito; analisi della Farmacia, considerando la sua natura di impresa e anche di presidio del Ssn; disamina del ruolo del farmacista, come professionista del farmaco, ma anche valutandone gli aspetti occupazionali; infine si è voluto analizzare il settore da un punto di vista empirico, partendo dai margini effettivi sulla distribuzione, per simulare i profitti effettivi della Farmacia. Un aspetto interessante è sicuramente quello relativo alla modulazione dei margini di ricavo per gli operatori del mercato farmaceutico, in particolare per la Farmacia. Per la Farmacia si tratta di margini lordi, in quanto la quota di spettanza teorica è ridotta dallo sconto che le Farmacie stesse sono tenute a concedere obbligatoriamente al Ssn. Con la recente approvazione del testo di legge della Spending Review, lo sconto in cifra fissa è passato dall’1,82%, fissato dalla L n. 122/2010, al 2,25%. Questo implica, di conseguenza, una maggiorazione delle quote di sconto per fasce di prezzo e una contrazione del margine netto spettante alla Farmacia. Inoltre, si deve considerare che il Ssn, nel procedere alla corresponsione di quanto dovuto alle farmacie trattiene, a titolo di sconto, una ulteriore quota pari allo 0,60% del prezzo al pubblico, questa quota deriva dalla mancata riduzione dei prezzi del 5%.
Nello studio si analizza come, scomponendo la quota di spettanza lorda del farmacista prevista dalla normativa, ovvero applicando gli sconti e le trattenute, il margine netto risulta ridotto di circa il 6% rispetto a quello lordo. Per i farmaci generici di fascia A è prevista una diversa ripartizione delle relative quote di spettanza che varia tra il 26,70%-34,70% per il farmacista; mentre per quanto riguarda i margini relativi ai farmaci di classe C il R.D. n. 478/1927, ad oggi ancora in vigore, stabilisce un margine per il farmacista non inferiore al 25% del prezzo di vendita al pubblico. Le farmacie possono, inoltre, praticare sconti su tutti i farmaci e prodotti direttamente pagati dai clienti, dandone adeguata informazione. In pratica si estende a tutti i farmaci per i quali è necessaria la prescrizione obbligatoria del medico, non a carico del Ssn, venduti in Farmacia, la possibilità di sconto già prevista per i farmaci senza obbligo di prescrizione. Prima dell’entrata in vigore della L. n. 27/2012, la possibilità di applicare sconti era prevista solo per i farmaci senza obbligo di prescrizione medica, purché lo sconto fosse esposto in modo leggibile e chiaro al consumatore e fosse praticato a tutti gli acquirenti, come stabilito dal Decreto Bersani.
Il Decreto estendeva tale possibilità a ciascun distributore al dettaglio (farmacie e non). In Italia gli sconti sono progressivi rispetto alla fascia di prezzo, e di conseguenza all’aumentare del prezzo al pubblico il margine netto è via via decrescente. Nell’indagine è emerso che una percentuale considerevole dei consumi (64,76%) si concentra nella fascia di prezzo 0-25,82 €. Un approccio non ideologico alla valutazione dell’efficienza complessiva del settore suggerito nello studio, propone di affrontare la questione ragionando sui margini effettivi delle farmacie; la competizione sui prezzi di fatto è già presente per i farmaci senza obbligo di prescrizione, che non è altresì implementabile sui farmaci di classe A; di fatto tutto si riduce al segmento della fascia C con prescrizione. Per la classe A quello che può essere oggetto di negoziazione è la quota di spettanza della distribuzione, che andrebbe però valutata alla luce dei costi sostenuti e quindi dei margini che garantisce. A questo punto, per esplicare meglio il concetto, nell’indagine è stata proposta una simulazione avente l’obiettivo di analizzare il conto economico di una Farmacia urbana “tipo” con un fatturato medio di circa € 1.500.000. In questo caso “base” l’utile dell’esercizio, sommato alla remunerazione del lavoro prestato, è risultato essere sostanzialmente equivalente alla retribuzione lorda di un professionista apicale del Ssn. Inoltre, se la Farmacia dovesse erogare solo i farmaci di classe A, non riuscirebbe a conseguire un utile, tale da coprire i costi della Farmacia stessa e a remunerare adeguatamente la prestazione del professionista farmacista. Sempre dalle simulazioni effettuate neppure una farmacia medio grande riuscirebbe a realizzare un utile significativo con la sola distribuzione della classe A. Ma non finisce qui. Anche aggiungendo la classe C la situazione non cambia radicalmente; solo le farmacie medio grandi riuscirebbero ad ottenere un utile, per altro molto modesto; quindi l’extra farmaco risulta fondamentale per la generazione dell’utile. A riprova di ciò farmacie piccole (nella simulazione di dimensione pari a metà di quella media) risulterebbero avere un utile irrisorio (€ 24.167 prima delle tasse). L’utile si riduce ancora più drasticamente per una farmacia rurale sussidiata tipo con fatturato inferiore a 387.342,67 € (19.292 €). Solo per farmacie grandi (nella simulazione di dimensione pari al 50% in più di quella media) gli utili diventerebbero complessivamente significativi, e in larga misura per effetto dell’extra farmaco. In conclusione la gestione della sola distribuzione dei farmaci per conto del Ssn sembra solo marginalmente redditizia, così che la quota di mercato libero di fascia C e l’extra farmaco assumono un ruolo fondamentale nella formazione degli utili.
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Fonte: Federfarma, Ceis
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