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Addio vecchi reparti, il malato si cura in rete

Sanità pubblica Redazione DottNet | 10/06/2013 19:34

Addio 'vecchi' reparti ospedalieri, il malato si cura in 'reti cliniche' che puntano a risparmi e a una migliore presa in carico del paziente, seguito come in una 'staffetta' anche da professionisti sanitari di altre aziende rispetto a quella in cui e' ricoverato. Uno spaccato in cui il Sud e' in prima linea con oltre il 30% delle reti censite.

E' la fotografia scattata da uno studio dell'Osservatorio della Federazione di Asl e Ospedali (Fiaso), realizzato con Sda Bocconi e Pfizer Italia e presentato a Matera.  Le 'reti cliniche' sono una sorta di 'Meta-Ospedali e Meta-Asl' dove medici, infermieri e servizi prendono in carico il malato al di la' dei confini dell'azienda ospedaliera o sanitaria dove il paziente e' materialmente in cura. Una ''rivoluzione'' per Fiaso che fra i protagonisti annovera le regioni meridionali.  Sul totale delle 245 reti 75 sono distribuite a Sud e nelle isole, pari al 30,6% delle esperienze complessive. Delle reti censite non tutte pero' sono gia' avviate, alcune sono ancora 'sulla carta', ossia programmate ma non partite, mentre altre sono in fase di start up. In tutto quelle effettivamente funzionanti sono 87, di cui 22 nel Mezzogiorno.  Per quanto riguarda il Sud e le isole, il Molise e' la regione con piu' reti funzionanti (7), seguita da Abruzzo e Puglia (4 reti ciascuna gia' attive). Tra reti 'sulla carta' e in parte o del tutto attive al top c'e' invece la Sardegna (con 21 reti cliniche censite, di cui 2 attive e 13 in start up), seguita da Abruzzo (19), Puglia (14), Basilicata e Molise (8), Calabria e Sicilia (2) e Campania (una sola e in fase di avvio).  Tra le branche specialistiche in cui al Sud questo modello ha preso piu' piede ci sono i settori di emergenza-urgenza, oncologia, laboratoristica e salute mentale.

''Le Reti cliniche stanno assumendo anche a Sud e nella nostra regione in particolare (Basilicata, ndr), un ruolo fondamentale in termini di efficienza gestionale del nostro SSN'' e la loro attivazione ''fa bene alla salute degli assistiti e alle casse dello Stato'', dice Giampiero Maruggi, vice presidente Fiaso e direttore generale dell'Ospedale San Carlo di Potenza.  Le reti cliniche sono fondamentali, ha sottolineato Maruggi, perche' ''consentono di rispondere ad alcune esigenze ineludibili del sistema sanitario, quali quella di rispondere alla complessita' dei processi assistenziali con la condivisione delle competenze, garantire l'equita' dell'accesso alle cure, migliorare la qualita' dell'assistenza grazie a percorsi diagnostici e terapeutici ben definiti. Senza dimenticare il migliore utilizzo delle risorse disponibili''. Tuttavia, ha aggiunto, si tratta di un sistema ''ancora da sviluppare e perfezionare, iniziando dal definire il ruolo al loro interno delle direzioni di Asl e Ospedali, oggi poco rappresentate, con quel che ne consegue in termini di mancato coordinamento delle iniziative e quindi di efficacia delle stesse Reti''.

 

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Sud in prima linea

Nel progettare e mettere in pratica il modello innovativo di assistenza delle “Reti cliniche” i dati dello studio mostrano un Sud niente affatto a rimorchio delle regioni centro-settentrionali. Sul totale delle 245 Reti censite infatti ben 75 sono distribuite a Sud e nelle Isole. Una percentuale pari al 30,6% delle esperienze complessive che è persino superiore a quella della popolazione assistita nelle regioni meridionali. Insomma per una volta il Meridione è in prima linea nell’innovazione sanitaria. Certo, i sistemi di assistenza in Rete realmente funzionanti sono poi soltanto 22, mentre molti sono solo parzialmente attivati o ancora in fase di progettazione. Ma anche questi sono dati in linea con il resto d’Italia, anche se l’indagine Fiaso rileva anche come i Piani di rientro dai deficit sanitari (che colpiscono tra le altre Campania, Calabria, Abruzzo e Molise) costituiscano un freno all’espansione delle Reti cliniche, richiedendo più concentrazione nel contenimento dei costi che nell’innovazione. Tra le branche specialistiche dove nel Sud ha maggiormente preso piede il modello delle cure “in Rete” c’è l’emergenza-urgenza, l’oncologia, la laboratoristica e la salute mentale.  Prima di censire le esperienze sul territorio, valutarne le performance e gli effetti su assistenza e ampliamento delle competenze professionali, la ricerca parte da una definizione di “Reti cliniche” che nel variegato panorama delle 21 sanità regionali serve a mettere un po’ di ordine. Per rete clinica regionale si intende “una forma di collaborazione stabile e formalizzata tra Unità operative (più o meno l’equivalente dei vecchi reparti) e/o professionisti appartenenti a diverse Aziende sanitarie di una medesima Regione, che abbia ad oggetto il processo di cura del paziente, i servizi di supporto o la circolazione dei professionisti e delle conoscenze”.

 

I dati nazionali

La diffusione delle reti cliniche, da tempo nel vocabolario della sanità pubblica britannica (e di altri Paesi anglosassoni, come il Canada) parte lentamente in Italia nei primi anni duemila, ma è dal 2008 che il modello inizia ad espandersi, passando nelle Regioni censite da una cinquantina di esperienze alle oltre 140 dello studio al 2012. Alcune ancora solo “sulla carta”, ossia programmate ma non ancora avviate. Altre in fase di start up e molte già pienamente funzionanti. Tra quelle già in attività le aree terapeutiche dove le Reti sono più diffuse sono Cardiologia (14 esperienze avviate), Oncologia (10), Neurologia (9), Malattie Rare (8), seguite poi da Emergenza-Urgenza, Centri trasfusionali e Cure palliative, che contano 7 esperienze ciascuna. In tutto le Reti cliniche effettivamente funzionanti censite da FIASO sono 87, con una netta prevalenza nel Nord Italia. La tendenza a “lavorare in Rete” da parte di Asl e Ospedali nasce del resto dalla sempre maggiore specializzazione dell’attività medica, che alimenta il bisogno di interscambio e connessione tra professionisti, sia per rafforzare il proprio bagaglio di competenze che per mettere al meglio queste ultime a disposizione del malato. Per questo – rileva lo studio di FIASO - le Reti non si limitano a collegare tra loro gli specialisti della stessa branca, ma sempre più frequentemente prevedono interscambi tra medici di discipline diverse per garantire al meglio la continuità delle cure al paziente. Ad esempio tra diabetologi e nefrologi per la gestione dei pazienti con insufficienza renale piuttosto che tra gastroenterologi e oncologi per la diagnosi del tumore al colon o al retto. Una “contaminazione” dei saperi che ha prodotto anche delle vere e proprie nuove sottobranche specialistiche, come ad esempio quella del “cardio-nefrologo”. Una iper-specializzazione che da difetto della moderna medicina diventa invece “amica” del malato proprio perché al sevizio del lavoro in team.  Le Reti cliniche osservate hanno rilevato dimensioni sovra- provinciali, spesso regionali. Ma quel che fa la differenza è la loro capacità di operare in un sistema organizzato e di procedure in qualche modo codificate. E ad oggi non sempre è così. Tant’è che la Ricerca FIASO individua tre tipologie di “Reti cliniche”:

a)     Le “Reti deboli”, dove tutto nasce e si ferma all’esigenza di collaborazione tra professionisti di aziende diverse;

 b)     I “Networks clinici”, che sono già primi esempi di Reti vere e proprie perché la collaborazione si fonda non più sull’estemporaneità ma su pratiche o modelli organizzativi consolidati;

 c)     Le “Reti forti”, quelle che prendono in carico la persona nella sua interezza e che sviluppano dei veri e propri percorsi diagnostici, terapeutici e assistenziali, che servono da “guida” ai professionisti sanitari e al contempo integrano l’ospedale con i servizi del territorio.

 

Le performance delle Reti cliniche

Partendo da questa classificazione lo Studio FIASO ha voluto misurare le performance delle Reti cliniche italiane in due aree terapeutiche: cardiologia e oncologia. Una valutazione che ha richiesto la collaborazione delle 12 Aziende che hanno collaborato all’intero Osservatorio: le Asl di Bergamo, Trento, Bassano, Bologna, Parma, Ravenna, Ferrara e Barletta-Trani, le Aziende Ospedaliere di Potenza e del S.Andrea di Roma, i Policlinici universitari di Ancona e Messina. L’analisi delle reti ha comunque fatto emergere l’eterogeneità del loro sviluppo, una appena sufficiente integrazione tra professionisti ospedalieri e del territorio, mentre la promozione a pieni voti viene raggiunta tanto sul fronte dell’efficacia delle cure che della soddisfazione del paziente. Soddisfazione che l’Area Vasta romagnola ha rilevato tra i suoi pazienti oncologici, che in un’ora di intervista non hanno mancato di sottolineare i pregi del lavoro “in rete”, che li fa sentire accompagnati in ogni fase del loro percorso terapeutico, favorendo l’accesso più rapido ai servizi e, non da ultimo, un rapporto più “umano” tra pazienti, medici e infermieri. 

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Fonte: Agenas

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