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Tumore al seno, efficace il trastuzumab ma è cardiotossico

Oncologia | 29/07/2013 15:44

L' efficacia del farmaco biologico trastuzumab nel contrasto al tumore al seno HER2-positivo si accompagna a maggiori rischi cardiovascolari. Lo prova uno studio dei ricercatori dell'Istituto Mario Negri di Milano e della Fondazione Salvatore Maugeri di Pavia, secondo cui sono più a rischio le donne anziane e con precedenti patologie cardiache.

Lo studio, pubblicato su The Oncologist, ha preso in esame 2000 donne lombarde trattate con trastuzumab tra il 2006 e il 2009 perche' affette da tumore della mammella in fase iniziale caratterizzato dal recettore HER2-positivo. Si tratta di donne che fanno parte di quel 15-25% di pazienti che hanno un'amplificazione del gene che determina la produzione del fattore di crescita HER2, cosa che si associa a maggiore aggressività del tumore, con maggior rischio di metastasi, ma anche a una comprovata maggiore sensibilità al trattamento con trastuzumab.  In particolare, i ricercatori hanno constatato che fra quelle 2000 pazienti, le donne che hanno sviluppato almeno un problema cardiaco di gravità tale da richiedere un'ospedalizzazione, ''sono risultate pari al 2,6% del totale e fino a circa il 10% in pazienti con età superiore ai 70 anni''.  I risultati della ricerca suggeriscono quindi - concludono i ricercatori - che il profilo rischio/beneficio del trastuzumab vada sottoposto a più attenta valutazione, al fine di elaborare strategie atte a ridurre il rischio di eventi cardiotossici in particolari sottogruppi di pazienti, quali donne anziane con più di 70 anni e con fattori di rischio cardiovascolari.

 ''Nel nostro studio - afferma Carlo La Vecchia ('Mario Negri' e Università di Milano) - abbiamo considerato unicamente eventi cardiaci di gravità tale da richiedere un'ospedalizzazione. Per esempio, abbiamo rilevato un'incidenza di ospedalizzazione per scompenso cardiaco congestizio dell'1,4%'', che è circa 3 volte più elevata dell'incidenza di scompenso cardiaco congestizio severo verificata per il trattamento con chemioterapia (0,54%).  La questione relativa al fatto che la cardiotossicità sia imputabile al trastuzumab e non alle differenti caratteristiche delle popolazioni in studio, rimane oggetto di discussione. ''Il fatto, però – conclude Alberto Zambelli, della Fondazione Maugeri - che il rischio cumulativo di cardiotossicità sia in aumento nei primi due anni dall'inizio della terapia con trastuzumab e resti invece stabile nel terzo anno dal termine del trattamento, sembra suggerire che la maggior parte degli eventi osservati siano realmente attribuibili al farmaco''.

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Fonte: the oncologist

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