Non si arresta l’onda lunga dei comuni che cercano acquirenti per le proprie farmacie. Anzi, il fenomeno ha ormai invaso con prepotenza alcune di quelle terre che storicamente rappresentano il “cuore” dell’interventismo municipale in campo farmaceutico: è il caso della Toscana dove, soltanto per citare i casi più recenti, hanno appeso il cartello “in vendita” le amministrazioni di Grosseto, Livorno e Cecina.
Ne parla il periodico Filodiretto di Federfarma. Ma anche nel resto d’Italia è un florilegio di aste e dismissioni: soltanto tra i casi più recenti si possono citare Schio in provincia di Vicenza (dove si sono dovute indire più gare, per mancanza di acquirenti) e Montebelluna in provincia di Treviso (cessione a un privato conclusa invece in breve, con un rilancio di 200mila euro sulla base d’asta), Latina nel Lazio, Desio in Brianza (dove il comune vuole cedere la quota restante della società che gestisce i tre presidi municipali), San Giovanni Lupatoto (provincia di Verona), San Giovanni Teatino (Chieti) e Ceriale, in provincia di Savona. Nonostante tutto, però, i casi che più attirano rimangono quelli dei tre comuni toscani. Contribuisce in tal senso anche una recente delibera della Regione, datata 22 luglio, che metteva in pista le procedure previste dal decreto “Cresci-Italia” per consentire ai comuni di aprire farmacie soprannumerarie nelle stazioni ad alta percorrenza, nei grandi centri commerciali e via di seguito. In sintesi, mentre i sindaci cercano di vendere la Regione chiede loro se c’è chi vuole aprire. Fuori luogo ma non solo: se qualcuno rispondesse positivamente potrebbe uscirne un danno per i comuni che dismettono, perché con ogni probabilità diminuirebbe il valore delle farmacie in vendita.
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Fonte: federfarma
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