La collaborazione tra farmacista e medico prescrittore può dare risultati significativi in termini di qualità delle cure non solo nel monitoraggio delle terapie e della loro aderenza, ma anche nel contenimento dei rischi di interazioni indesiderate tra farmaci.
A dimostrarlo è uno studio condotto dai dipartimenti farmaceutici di sei Asl dell’Emilia Romagna (Bologna, Modena, Parma, Reggio, Forlì-Cesena e Imola), i cui esiti sono stati presentati al XXII Seminario dell’Istituto superiore di sanità su uso e valutazione del farmaci (Roma, 9 dicembre).
La constatazione dalla quale sono partiti i ricercatori è che i pazienti ultra65enni sono esposti frequentemente a politerapie, da cui potenziali interazioni tra farmaci clinicamente rilevanti. In letteratura, tuttavia, soltanto un numero limitato di molecole mostra effetti reali in caso di impiego sovrapposto e dispone di alternative terapeutiche praticabili per ridurre il rischio. I ricercatori, così, si sono concentrati su questo gruppo circoscritto di farmaci e hanno selezionato tutte le combinazioni (ciascuna di due sostanze soltanto) contraddistinte da interazioni potenziali con rischio clinicamente rilevante. Ogni coppia, inoltre, doveva includere almeno un farmaco per terapie croniche, doveva avere rimborsabilità Ssn e disporre di alternative terapeutiche misurabili. Dall’analisi sono così saltate fuori 53 combinazioni, nelle quali anticoagulanti e antipertensivi si impongono per incidenza (in 9 e 7 coppie rispettivamente) mentre antibatterici (17 coppie) e Fans prevalgono nel ruolo di farmaco precipitante.
La seconda fase è consistita nella selezione di una “coorte” costituito da pazienti anziani con almeno 5 terapie concomitanti croniche (più di 90 dose definite die alla settimana).
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Fonte: federfarma, filodiretto
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