Quasi la metà pazienti malati di bronco pneumopatia cronica ostruttiva (o Bpco), il 30% di quelli malati di bronchite cronica e anche una piccola quota di fumatori asintomatici soffrono anche di deficit cognitivo a prescindere dall'età. Lo rivela una ricerca italiana, che ha dimostrato la correlazione tra malattie respiratorie croniche e deficit cognitivo. Lo studio italiano sarà presentato in anteprima al Respiration Day 2014, convegno patrocinato da Chiesi Foundation in programma domani a Parma nell'Auditorium Paganini.
Lo studio dal titolo "Cognition and chronic airway flow limitation", che a breve verrà pubblicato sull'International Journal of Chronic Obstructive Pulmonary Disease, è stato condotto dal team di ricercatori guidati dal professor Roberto Dal Negro del Centro Nazionale Studi di Farmacoeconomia e Farmacoepidemiologia Respiratoria (Cesfar) di Verona e ha indagato la prevalenza e l'entità del deficit cognitivo in pazienti affetti da patologia cronica delle vie aeree di diversa gravità. I risultati hanno inoltre evidenziato che il danno cognitivo, oltre a essere proporzionale per frequenza e gravità all'entità della patologia respiratoria cronica, peggiora con l'avanzare dell'età del soggetto. Ne risulta quindi che, ad esempio, perfino un ottantenne fumatore è più deficitario, a livello cognitivo, di un ottantenne sano. Il fenomeno è ancora più clamoroso se si confrontano pazienti 50enni: i pazienti 50enni esprimono una compromissione delle facoltà cognitive peggiore di quella manifestata dai soggetti sani 70enni.
fonte: ansa
Esame analizza 32 proteine ed è in grado di predire chi ha più probabilità di aver bisogno di cure o di morire per queste patologie
Lo rivela un ampio studio presentato al Congresso della European Respiratory Society (ERS) a Vienna da Anne Vejen Hansen dell'Ospedale Universitario di Copenaghen
I pazienti che hanno ricevuto un trattamento diretto dallo pneumologo hanno avuto un minore utilizzo successivo dell'assistenza sanitaria per malattie respiratorie rispetto a quelli che hanno ricevuto cure abituali
Lo ha accertato uno studio internazionale in collaborazione fra l'Università francese Paris-Saclay, e quelle di Padova, Napoli Federico II e altri atenei stranieri
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