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Farmaci per il deficit attenzione aumentano i rischi per il cuore

Farmaci Redazione DottNet | 07/07/2014 12:48

Aiutano l'attenzione ma non il cuore: sono i farmaci a base di metilfenidato, indicati per disturbi da deficit di attenzione e iperattività (Adhd) e somministrati, in Italia, a circa 3700 bambini, che in molte Regioni, peraltro, non hanno modo di affiancare alla terapia farmacologica, un giusto sostegno psico-sociale e familiare.

 A richiamare l'attenzione sul tema, già oggetto di lunghe polemiche negli anni passati, è uno studio del National Centre for Register-Based Research dell'università danese di Aarhus, pubblicato recentemente nel Journal of Child and Adolescent Psychopharmacology. I ricercatori hanno seguito più di 700.000 bambini nati in Danimarca tra il 1990 e il 1999, di questi, 8.300 avevano avuto una diagnosi di Adhd e, è stato riscontrato, presentavano eventi legati a patologie cardiovascolare con una probabilità circa 2,3 volte più alta rispetto agli altri.

  "Questo conferma effetti collaterali che erano già stati indicati e conferma il fatto che vanno somministrati solo laddove veramente necessario", spiega Stefano Vicari, responsabile Neuropsichiatria Infantile Ospedale Pediatrico Bambino Gesù. "Una giusta terapia, con dosi ridotte al minimo, - prosegue - se affiancata da sostegno psico-sociale e familiare, riduce le ripercussioni negative nella vita quotidiana, come la difficoltà a seguire una lezione, a portare a termine un compito, a star seduti in classe". E aiuta per il futuro.

 

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"Un terzo dei soggetti che non affrontano correttamente il disturbo da piccoli, possono andare incontro, da adulti, a disturbi più pesanti, come uso di sostanze stupefacenti, bipolarità, depressione". Tuttavia "le strutture territoriali che dovrebbero aiutarci a gestire questi casi - denuncia - non esistono. Specie nel Sud Italia non esiste un adeguato sostegno psicosociale per questi bambini e, dopo alcuni mesi, l'intervento psicoterapeutico resta a carico delle famiglie, qualora riescono a continuarlo". In molte regioni italiane "si fa poco oltre somministrare farmaco", conferma Pietro Panei, responsabile del registro nazionale Adhd presso l'Istituto superiore di sanità. Non si sa quante siano nel nostro paese le diagnosi di Adhd, ma le stime parlano di una prevalenza da due a quattro volte inferiore rispetto ad altri paesi (pari a circa l'1%, arriva al 10% negli Stati Uniti) mentre il tasso di esposizione al trattamento farmacologico è molto basso. Ad esempio, da uno studio condotto sulla popolazione di san Donà di Piave, per composizione sovrapponibili al resto d'Italia, su 2184 bambini e ragazzi da 6 a 18 anni con sospetto di Adhd, la diagnosi è stata riscontrata su 263 pari l'1,1%, di questi il 58% fa solo sostegno psicosociale, il 17% aggiunge il farmaco, il restante 25% non necessita di intervento. In Italia, insomma, secondo gli esperti, c'è meno sovradiagnosi e meno utilizzo di farmaci che altrove. "L'accuratezza nella nostra esperienza - conclude Panei - è garantita da un rigido protocollo diagnostico-terapeutico.  L'esistenza di una rete di pediatri e neuro-psichiatri, inoltre, permette un'ampia diffusione delle terapie comportamentali e cognitive e riduce proporzionalmente l'uso dei farmaci. Il funzionamento di questa rete, però, in molte zone d'Italia deve essere ottimizzato".

 

fonte: ansa

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