La Corte di Cassazione con la sentenza n. 19709, del 2 ottobre 2015, affronta la delicata questione dell’istituto della revocatoria fallimentare; i pagamenti tardivi e i protesti a carico del debitore non rappresentano da soli, elementi che testimoniano che il creditore è a conoscenza che la società è in situazione di pre-fallimento.
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 19709, del 2 ottobre 2015, affronta la delicata questione dell’istituto della revocatoria fallimentare; nel caso in esame i giudici di legittimità hanno stabilito che i pagamenti tardivi e i protesti a carico del debitore non rappresentano da soli, elementi che testimoniano che il creditore è a conoscenza che la società è in situazione di pre-fallimento; in tale situazione , di conseguenza, è esclusa la revocatoria sui pagamenti.
I pagamenti tardivi e i protesti a carico dell’azienda non sono elementi sufficienti a far ritenere che il creditore sia a conoscenza dell’imminente fallimento dell’azienda e, pertanto, non sono prove sufficienti ad accogliere la domanda di revocatoria fallimentare della curatela.
E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 19709, del 2 ottobre 2015, che affronta la delicata questione dell’istituto della revocatoria fallimentare nel caso di pagamenti tardivi a favore del creditore.
La vicenda analizzata dalla Corte di Cassazione è molto particolare perché gli “attori” coinvolti sono divers :
—> una farmacia, costituita sotto forma di società in accomandita semplice, che è stata dichiarata fallita a seguito dei gravi ritardi con cui il servizio sanitario gli rimborsava le medicine;
—> una azienda farmaceutica che forniva i farmaci alla farmacia poi dichiarata fallita.
Al fornitore erano state pagate, da parte della farmacia, alcune fatture con grave ritardo, nel periodo pre-fallimentare; la curatela fallimentare ha applicato nei suoi confronti l’istituto della revocatoria dei pagamenti.
Tralasciando l’analisi della sentenza quello che preme evidenziare sono alcuni importanti punti che i giudici di legittimità hanno fissato, con il documento in commento.
Occorre preliminarmente ricordare che la norma sui fallimenti di cui al R.D. 267/1942 impone al curatore di verificare, nell’esercizio delle sue funzioni, se vi siano operazioni poste in essere dalla società o dall’imprenditore fallito che ricadano nell’ambito di operatività della revocatoria.
La curatela, in particolare, può domandare che siano dichiarati inefficaci e revocati gli atti compiuti dal debitore in pregiudizio dei creditori: l’azione si propone dinanzi al Tribunale fallimentare, sia in confronto del contraente immediato, sia in confronto dei suoi aventi causa nei casi in cui sia proponibile contro costoro.
Le norme della legge fallimentare che disciplinano le possibili azioni legali a difesa della massa dei creditori concorsuali contro eventuali atti pregiudizievoli alle loro ragioni, compiute dal debitore fallito, sono contenute nella Sezione III, del Capo III, del Titolo II della legge fallimentare (articoli da 64 a 70 L.F.).
In sostanza l'azione revocatoria è uno strumento utilizzabile dal curatore fallimentare allo scopo di ricostituire il patrimonio del fallito destinato alla soddisfazione dei suoi creditori, facendovi rientrare quanto ne era uscito nel periodo antecedente al fallimento (il cosiddetto periodo sospetto, recentemente dimezzato dalla riforma delle procedure concorsuali): in pratica l’istituto dell’azione revocatoria consente, di colpire gli atti del debitore insolvente che hanno inciso sul suo patrimonio in violazione del principio della par condicio creditorum.
Il curatore può rendere inefficaci gli atti di disposizione, i pagamenti e le garanzie poste in essere dal fallito nell'anno o nei sei mesi antecedenti al fallimento, conseguentemente imponendo ai terzi che hanno ottenuto beni o denaro di restituire quanto ricevuto, o, se hanno ottenuto garanzie, retrocedendoli dal rango privilegiato a quello chirografario.
Affinché, tuttavia, la revocatoria possa essere accolta, è necessario che il terzo al momento dell'atto fosse a conoscenza dell'insolvenza della sua controparte.
La revocatoria deve essere esercitata a pena di decadenza entro tre anni dalla dichiarazione di fallimento e , comunque, non oltre cinque anni dalla data dell'atto.
Attenzione però perché non tutti gli atti compiuti da soggetti insolventi possono venire colpiti dalla revocatoria, perché la legge prevede un ampio numero di esenzioni: tra di esse, per esempio, vale la pena citare :
- la vendita a giusto prezzo di immobili destinati ad abitazione principale dell'acquirente o di suoi stretti parenti od affini;
- i pagamenti effettuati nell'esercizio normale dell'impresa;
- i pagamenti per prestazioni di lavoro effettuate da dipendenti.
Un primo punto che si ritiene utile evidenziare nella sentenza in commento è la questione dei ritardi nei pagamenti ai propri fornitori da parte della società fallita e dei protesti bancari che aveva posto in essere.
I pagamenti effettuati dalla società fallita costituivano un adempimento parziale effettuato ad un anno di distanza dalle forniture, ed i protesti risultanti a carico di uno dei soci erano già stati pubblicati al momento dell'instaurazione del rapporto commerciale con la società fornitrice; non sono elementi, osserva la Cassazione, che possano far ritenere che il creditore fosse a conoscenza di uno stato di imminente fallimento poiché tra l’altro il ritardo dei rimborsi delle medicine da parte del Servizio Sanitario Nazionale, può certamente giustificare una dilazione nei pagamenti.
La prova della conoscenza dello stato di insolvenza
Secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità la prova della conoscenza dello stato d'insolvenza presuppone la dimostrazione della concreta situazione psicologica della parte al momento dell'atto impugnato, e non già quella della semplice conoscibilità oggettiva ed astratta delle condizioni economiche della controparte, e pertanto, pur potendo essere fornita in via presuntiva, richiede l'offerta di elementi indiziari tali da indurre a ritenere che il terzo, facendo uso della normale prudenza ed avvedutezza, rapportata anche alle sue qualità personali e professionali, nonché alle condizioni in cui si è trovato concretamente ad operare, non possa non aver percepito i sintomi rivelatori dello stato di decozione del debitore .
Fonte: ipsoa
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