Il ricorso è stato presentato da dipendenti assunti con contratti a termine nell'ambito sanitario, ma la sentenza costituisce un precedente applicabile anche agli altri comparti
Conti pubblici senza pace: dopo le vertenze ex specializzandi, adesso tocca a tutti precari della sanità poter fare richieste economiche: sono, per il momento, 80 mila gli interessati di tutti settori della Pa potenzialmente titolati a far causa allo Stato e destinati ad una facile vittoria, come riporta Il Messaggero. Il 15 marzo scorso una sentenza della Cassazione ha infatti sancito che il dipendente pubblico al quale siano stati riconosciuti contratti a tempo determinato per un totale di almeno 36 mesi ha diritto ad essere risarcito con un'indennità che parte da 2,5 mensilità e può arrivare fino a 12 mesi.
Nel dettaglio la sentenza ha stabilito che le Aziende Ospedaliere non possono più ricorrere al continuo rinnovo dei contratti a tempo determinato senza assumere personale tramite concorso e che, se lo fanno, devono risarcire il danno cagionato ai propri dipendenti, per averli costretti ad una condizione di precarietà.
“La vicenda – spiega il Codacons – nasce dal ricorso presentato presso il Tribunale di Genova da due dipendenti assunti a termine dalla Azienda Ospedaliera Universitaria “San Martino”, i cui contratti a tempo determinato venivano di volta in volta rinnovati addirittura a partire dal 1999. Il ricorso è stato presentato per ottenere la stabilizzazione, le differenze retributive dovute in relazione all’anzianità di servizio maturata e il risarcimento del danno per gli anni di precariato cui i ricorrenti erano stati costretti. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello di Genova hanno dato ragione ai due lavoratori e, il 15 marzo scorso, anche le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Pres. Renato Rordorf, Rel. Giovanni Amoroso), hanno duramente condannato il comportamento dell’Azienda ospedaliera, scrivendo nella sentenza:
‘Il lavoratore, che abbia reso una prestazione lavorativa a termine in una situazione di ipotizzata illegittimità della clausola di apposizione del termine al contratto di lavoro o, più in generale, di abuso del ricorso a tale fattispecie contrattuale, subisce gli effetti pregiudizievoli che, come danno patrimoniale, possono variamente configurarsi. Si può soprattutto ipotizzare una perdita di chance nel senso che, se la pubblica amministrazione avesse operato legittimamente emanando un bando di concorso per il posto, il lavoratore, che si duole dell’illegittimo ricorso al contratto a termine, avrebbe potuto parteciparvi e risultarne vincitore. Le energie lavorative del dipendente sarebbero state liberate verso altri impieghi possibili ed in ipotesi verso un impiego alternativo a tempo indeterminato. Il lavoratore che subisce l’illegittima apposizione del termine o, più in particolare, l’abuso della successione di contratti a termine rimane confinato in una situazione di precarizzazione e perde la chance di conseguire, con percorso alternativo, l’assunzione mediante concorso nel pubblico impiego o la costituzione di un ordinario rapporto di lavoro privatistico a tempo indeterminato.
L’evenienza ordinaria è la perdita di chance risarcibile come danno patrimoniale nella misura in cui l’illegittimo (soprattutto se prolungato) impiego a termine abbia fatto perdere al lavoratore altre occasioni di lavoro stabile. Ma non può escludersi che una prolungata precarizzazione per anni possa aver inflitto al lavoratore un pregiudizio che va anche al di là della mera perdita di chance di un’occupazione migliore’.
Con particolare riguardo, poi, alla prova in giudizio del danno, il principio affermato dalla Corte è stato, se possibile, ancora più rivoluzionario. Le Sezioni Unite hanno infatti chiarito che il danno per il dipendente pubblico è altro rispetto a quello subito dal lavoratore privato, posto che, nel caso del pubblico dipendente: ‘occorre (…) una disciplina concretamente dissuasiva che abbia, per il dipendente, la valenza di una disciplina agevolativa e di favore, (….) La misura dissuasiva ed il rafforzamento della tutela del lavoratore pubblico, quale richiesta dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, è proprio in questa agevolazione della prova da ritenersi in via di interpretazione sistematica orientata dalla necessità di conformità alla clausola 5 del più volte cit. accordo quadro: il lavoratore è esonerato dalla prova del danno nella misura in cui questo è presunto e determinato tra un minimo ed un massimo’.
Ecco dunque, il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite: va conseguentemente cassata l’impugnata pronuncia con rinvio alla Corte d’appello di Genova in diversa composizione che si adeguerà al seguente principio di diritto: nel regime del lavoro pubblico contrattualizzato in caso di abuso del ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato da parte di una pubblica amministrazione il dipendente, che abbia subito la illegittima precarizzazione del rapporto di impiego, ha diritto al risarcimento del danno con esonero dall’onere probatorio nella misura e nei limiti di cui alla l. 4 novembre 2010, n. 183”.
“Ora – spiega il presidente Carlo Rienzi Codacons – tutti i lavoratori precaridella sanità, in generale, possono avanzare analoga richiesta risarcitoria, e ottenere fino a 50mila euro di indennizzo ciascuno e la stabilizzazione della propria posizione lavorativa”.
Quali possono essere le conseguenze pratiche di questa situazione? Secondo le notizie raccolte dalla Cgil, migliaia di precari lasciati a casa senza impiego o comunque prossimi alla scadenza del loro contratto senza alcuna chance di ulteriore rinnovo si stanno già muovendo per portare lo Stato in giudizio. Con quali effetti per le casse pubbliche? Se tutti gli 80 mila precari si muovessero e venisse loro riconosciuto il massimo dell'indennizzo previsto (in media 21 mila euro lordi ), il ministero del Tesoro sarebbe costretto a pagare 1,7 miliardi di euro. Ed anche se è ovvio che non potrà finire in questo modo estremo, l'esborso rischia comunque di essere cospicuo e comunque non inferiore a 7-800 milioni di euro.
Tutto dipenderà dal flusso dei ricorsi e dall'orientamento dei giudici i quali, nella determinazione dell'indennizzo, dovranno tenere conto dell'anzianità di servizio, del comportamento delle parti, delle condizioni concrete del caso e della dimensione dell'organizzazione coinvolta. Inoltre alcune fonti che stanno studiando il caso fanno notare che, secondo la riforma della Pa, gli stessi dirigenti riconosciuti colpevoli di rinnovi plurimi a lavoratori precari potrebbero rispondere di tasca propria. Il Testo unico sul pubblico impiego prevede infatti per le amministrazioni l'obbligo di recuperare le somme versate per il risarcimento dai dirigenti responsabili, se la violazione è dovuta a dolo o colpa grave. Un bel pasticcio, insomma. Il giudizio della Cassazione, in ogni modo, costituisce un bel punto fermo su una materia in bilico tra l'ordinamento interno, che impedisce nel pubblico la trasformazione del contratto a tempo indeterminato (proprio perché si entra per concorso), e i principi europei sulla lotta al precariato.
Esclusa quindi la carta della stabilizzazione, l'unica strada di compromesso individuata dalla Cassazione è stata quella del risarcimento del danno visto che, si legge nella sentenza di metà marzo, il dipendente caduto nella rete del precariato ha perso la «chance», per «un'occupazione alternativa migliore». Per venire incontro ai paletti fissati dalla Ue in un pronunciamento del novembre 2014, «il lavoratore è esonerato dalla prova del danno» e. la novità sta nello scatto automatico della sanzione, una volta accertata l'illegittimità.
Nella P.A. "quasi tutti gli 80mila contratti a tempo determinato si protraggono da oltre 36 mesi" e, con la recente sentenza, in caso di ricorso in giudizio e certificazione dell'abuso del rapporto a termine il lavoratore "ha diritto a un risarcimento, senza onere della prova, con un'indennità tra le 2,5 e le 12 mensilità". Così il responsabile settori pubblici Cgil, Michele Gentile, commenta, l'impatto della pronuncia della Corte di Cassazione sul precariato nel pubblico impiego.
La platea dei potenziali interessati dalla sentenza, depositata a metà marzo, è quindi per la Cgil quasi coincidente con il totale degli occupati a termine, 79.691 (dati Aran sul 2014). Ciò senza includere la scuola, "per cui si attendono altri pronunciamenti", precisa Gentile. Il sindacalista sottolinea come la Cassazione, a sezioni unite, abbia "ripreso il tema del tempo determinato nella P.A, ribadendo l'impossibilità di trasformare il rapporto di lavoro in tempo indeterminato in forza dell'articolo 97 della Costituzione, che prevede l'accesso tramite concorso". Ma la Corte dice anche altro, ed è qui la novità: "Se c'è un giudizio di abuso, di illegittimità, anche nel pubblico, come nel privato, vi può essere su un risarcimento certo", chiarisce Gentile.
E in aggiunta, prosegue, nel pubblico "non bisogna provare niente, se non la durata oltre i 36 mesi". Inoltre per la P.A., evidenza Gentile, "l'indennizzo forfettario è un punto di partenza, poi si può anche dimostrare un danno maggiore". La sentenza secondo il sindacalista "pone con sempre più urgenza il problema delle stabilizzazioni, visto il blocco del turnover e l'esclusione dei co.co.co nella P.A. dal primo gennaio 2017". Il rischio per la Cgil "è quello di un'emorragia occupazionale e bisognerà che la riforma Madia ne tenga conto nell'esercitare la delega sul lavoro flessibile, considerando pure le nuove regole 'concorsuali' per l'attivazione dei contratti a tempo determinato".
Per il segretario generale della Fp Cgil, Rossana Dettori, la vicenda dimostra "quanto sia cruciale e non più rinviabile il rinnovo dei contratti pubblici. Luogo nel quale decidere che il tempo determinato sia effettivamente tale e non rinnovabile all'infinito". Intanto la sentenza della Cassazione mette dei punti fermi con, si legge nel giudizio, un'"interpretazione adeguatrice" che per "rinvenire nell'ordinamento nazionale un regime risarcitorio" in grado di soddisfare "l'esigenza di tutela del lavoratore evidenziata dalla Corte di giustizia", il riferimento è all'Europa. La Corte precisa poi che nel pubblico "il danno non è la perdita del posto di lavoro a tempo indeterminato perché una tale prospettiva non c'è mai stata". Il danno risarcibile è invece quello che deriva "dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative", ovvero da un abuso per cui si "può ipotizzare una perdita di chance".
fonte: ansa, messaggero, codacons
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