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Incompatibilità violata, medico condannato per truffa e falso

Medlex Redazione DottNet | 31/03/2017 19:04

l camice bianco, titolare di un rapporto di lavoro part time con il Comune di Bologna aveva assunto al contempo l’incarico di medico dell’emergenza territoriale presso l’AUSL di Piacenza

Aveva omesso al momento dell’assunzione dell’incarico di medico dell’emergenza territoriale, di dichiarare all’AUSL di Piacenza la decisiva circostanza di essere nel contempo dipendente dell’amministrazione comunale di Bologna. La Corte dei Conti, sezione Giurisdizionale per l’Emilia Romagna, ha quindi ritenuto, con sentenza n. 44/2017,  di condannare il camice bianco per i reati di truffa e falso ideologico disponendo il risarcimento a favore di due Enti del danno erariale corrispondente rispettivamente a Euro 323.824,23 in favore dell’Azienda U.S.L., e a Euro 25.906,38 in favore del comune di Bologna.


Il professionista da 9 anni lavorava a part-time di 18 ore settimanali per meglio svolgere la libera professione; ma nel 2009 ha assunto l’incarico di medico dell’emergenza territoriale all’Ausl Piacenza.

Sono altre 38 ore settimanali nonché 140 chilometri andata e altrettanti ritorno, ma il camice pensa di potercela fare: all’assunzione come medico del 118 non dichiara all’Ausl l’altro incarico. Dopo 3 anni e mezzo, il Direttore Generale piacentino scopre e segnala l’anomalia, e il medico si dimette senza preavviso dall’incarico di Bologna. Ma non evita la denuncia penale né che la Guardia di Finanza quantifichi in 26 mila euro la cifra indebitamente versata dal Comune di Bologna per ore in cui era stato assente. Viene poi contestato anche il danno erariale per le somme percepite a Piacenza.

Ed è una stangata: euro 323 mila da restituire all’Ausl, tutti i compensi per 3 anni e mezzo di lavoro svolto. Il medico chiede gli sia erogata la sola sanzione disciplinare, la revoca della convenzione. La Corte dei Conti replica che per la legge 412 del 1991 il sanitario non può intrattenere più di un rapporto con la pubblica amministrazione; e qui si configurano addirittura due rapporti di dipendenza: assimilato a dipendenza è ad avviso della Corte il reddito da convenzione con ritenuta del 20%. Il professionista ha dichiarato a Piacenza nel modello di autocertificazione informativa predisposto dall’Ausl di non essere titolare di alcun rapporto di lavoro dipendente: una condizione che lo avrebbe posto nell’assoluta incompatibilità con l’incarico affidatogli.

I giudici hanno ritenuto non sussistente alcun dubbio circa l’intenzionale violazione delle norme sull’incompatibilità previste per i medici titolari di rapporti convenzionali con strutture del servizio sanitario nazionale e, quindi, circa la natura dolosa della condotta contestata. Il modulo di “autocertificazione informativa” predisposto dall’AUSL e concernente il possesso dei requisiti necessari ai fini dell’accettazione dell’incarico, prevede infatti espressamente la dichiarazione di “essere/non essere titolare di rapporto di lavoro dipendente a tempo pieno, a tempo definito, a tempo parziale, anche come incaricato o supplente, presso soggetti pubblici o privati”.


Rispetto a tale adempimento, il medico ha consapevolmente sottoscritto la predetta dichiarazione sostitutiva di atto notorio, dichiarando di non essere titolare di alcun rapporto di lavoro dipendente, “dissimulando ab origine una condizione di incompatibilità assoluta che di per sé gli avrebbe precluso l’affidamento dell’incarico”.  In ogni caso, durante tutto lo svolgimento del rapporto convenzionale, il medico si è astenuto sia dal rappresentare altrimenti la propria condizione di dipendente pubblico, sia dal far cessare la situazione di incompatibilità (come prescritto dal comma 8 dell’articolo 17 dell’ACN).


Il medico, pertanto, ha messo in atto una condotta fraudolenta protratta nel tempo, procurandosi un ingiusto profitto ed è pertanto tenuto all’integrale restituzione delle somme percepite, senza che residui alcun margine di valutazione in ordine all’utilità delle prestazioni comunque svolte dal medico convenzionato. La violazione dolosa del dovere di esclusività, garantito dalla disciplina imperativa sulle incompatibilità, esclude che possa farsi ricorso all’istituto della “compensatio lucri cum damni”.


Il medico, inoltre, aveva omesso di comunicare al Comune di Bologna – suo datore di lavoro pubblico all’epoca – l’assunzione dell’incarico presso I’AUSL di Piacenza, come pure avrebbe dovuto quale lavoratore pubblico a tempo parziale per lo svolgimento di altra attività lavorativa, Anche in questo caso, peraltro, sussisteva l’impossibilità giuridica  per il camice bianco, nella sua posizione di dipendente dell’ente locale a tempo indeterminato (ancorché parziale), di assumere un incarico quale quello accettato, di medico dell’emergenza territoriale presso l’AUSL di Piacenza.

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