Sindacati infuriatie: sono spariti gli stanziamenti. Ecco i dettagli, dal taglio del cuneo alla lotta alla povertà
La manovrina porterà in dote oltre 5 miliardi per la disattivazione delle clausole di salvaguardia promessa dal governo, alleggerendo anche l'importo necessario per rispettare contemporaneamente il target del deficit, rimasto immutato per il prossimo anno all'1,2% del Pil. Leggendo il Def nel dettaglio è questo uno dei punti cardine che permette di intravedere già le prime linee della manovra di bilancio del 2018, anno da cui è scomparso l'obiettivo del cronoprogramma renziano del calo Irpef, sostituito dal taglio del cuneo fiscale.
Con l'obiettivo di diminuire le diseguaglianze sociali, il governo ha infatti previsto un piano di lotta alla povertà che ha il suo perno nel reddito di inclusione e ha ipotizzato una riduzione del cuneo concentrato sulle categorie di lavoratori ritenute più svantaggiate, giovani e donne.
Le critiche comunque non mancano. Su alcuni punti le linee di azione del governo vengono solo accennate, ma è proprio questa assenza di dettagli che per quanto riguarda i contratti pubblici fa infuriare la Cgil. Fino a ieri erano arrivate rassicurazioni sugli stanziamenti, mentre oggi, denuncia il sindacato, il testo non offre alcuna certezza. Confindustria parla invece di passi avanti, anche se la manovrina sembra rivelarsi proprio 'ina', manca una detassazione per l'assuzione dei giovani, dice Vincenzo Boccia. Le tabelle del Documento approvato ieri in Cdm partono dal deficit. Nel 2018 il governo ha confermato lo stesso livello previsto nel Dpb di ottobre scorso, nonostante la percentuale tendenziale sia più alta.
Per farlo restare all'1,2% servirà un intervento dello 0,1%, pari a 1,7 miliardi, che rappresenta ad oggi l'ammontare della manovra 2018. Una cifra minima, considerando che nessuna delle misure allo studio - come appunto il taglio del cuneo - ha ancora una forma e un valore. L'unico impegno preso finora è infatti la disattivazione dell'aumento dell'Iva, che vale 19,7 miliardi nel 2018 e che fa lievitare il conto totale a 21,4 miliardi. E' qui che si innesca l'effetto manovra-bis. Con la correzione approvata ieri, il governo si è infatti in qualche modo già portato avanti, assicurandosi 5,1 miliardi strutturali a regime (pari allo 0,3% dall'anno prossimo) che alleggeriscono il totale ad 'appena' 16,3 miliardi. In questo modo Roma riuscirebbe a non aumentare le tasse e a mantenere gli impegni con Bruxelles.
Sulle regole Ue il confronto è però aperto e probabilmente in stato avanzato, visto che nello stesso Def il governo evidenzia il pressing esercitato sulla Commissione per modificare la governance economica puntando sulla crescita. Non è escluso quindi che, come già accaduto lo scorso anno, i parametri del deficit possano essere rivisti al rialzo in autunno, riuscendo a strappare ulteriore flessibilità o a concordare una modifica del calcolo dell'output gap al momento, secondo il Tesoro, estremamente penalizzante per l'Italia. Ad essere rivisti potrebbero essere peraltro anche i dati sul Pil 2018 e 2019, oggi "prudenziali" secondo il Mef, ma che, secondo alcuni osservatori, giocherebbero anche a favore del nostro Paese in Europa per dimostrare come l'economia non sia ancora in fase di piena espansione.
Dalle privatizzazioni al catasto, dalla revisione delle tax expenditure ai tagli di spesa, le linee di azione del governo vengono solo accennate. In realtà il messaggio del governo, ormai a fine legislatura, è ancora una volta quello di tenere la barra dritta, soprattutto di fronte alle ondate populiste che vorrebbero ricorrere a quelle che Pier Carlo Padoan definisce 'soluzioni scorciatoia'. Tra poco, si legge nel Def, il QE della Bce si esaurirà e senza lo scudo di Francoforte l'Italia, Paese ad altissimo debito, rischia di trovarsi in balia dei mercati. Per evitare dunque che i tassi di interesse schizzino in alto e assorbano miliardi di euro altrimenti destinabili a investimenti, crescita e occupazione, "l'Italia non dovrà farsi trovare impreparata".
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