Giorlandino, il contagiato può essere infettivo anche dopo un tampone negativo
Nel 73% dei soggetti negativizzati al SarsCov2, il virus permane nelle feci. E' quanto emerge da uno studio condotto da Altamedica Medical Center di Roma, che ha esaminato l'epoca di comparsa e di scomparsa del virus dall'organismo del soggetto. Chi è stato contagiato da coronavirus anche in caso di tampone negativizzato potrebbe dunque essere ancora in grado di infettare. Partendo dal presupposto che il Covid-19 non si trasmette solo per le vie respiratorie ma anche attraverso le feci, l'indagine condotta su 15 persone con tampone naso-faringeo positivo ha rivelato che: mentre il virus presente nel tratto respiratorio tende a scomparire piuttosto presto, nel 73% dei casi a distanza di due settimane dal primo tampone positivo il virus permane nelle feci dei soggetti nonostante il secondo tampone sia stato negativo; nel 40% dei soggetti il virus è stato riscontrato nelle feci fino a 40 giorni dopo.
"Infezioni come queste sono definite a trasmissione oro-fecale, il virus alberga nella bocca e nell'intestino e il contagio avviene attraverso entrambe le vie, sebbene quella fecale sia stata ampiamente sottovalutata - spiega Claudio Giorlandino, ginecologo, Direttore Sanitario Gruppo Sanitario Altamedica e direttore generale dell'Italian College of Fetal Maternal Medicine - Inoltre come è stato dimostrato il virus perdura nell'intestino e si elimina nelle feci per diverse settimane dopo che scompare nel tampone, per cui un soggetto ormai ritenuto non infettivo in realtà lo è; ciò significa che i due tamponi negativi e la convalescenza non sono assolutamente garanzia di assenza di contagiosità.
Ma il virus che si riscontra nell'intestino è ancora infettante? "Il riscontro dopo un lasso di tempo piuttosto prolungato depone per il fatto che questo si stia ancora replicando nell'intestino e sia quindi attivo e contagioso - spiega l'esperto -. E', infatti, ipotizzabile che, quelle quote virali che giungono nell'intestino dopo essere passate nel processo digestivo con gli acidi, probabilmente siano denaturate. È lecito, quindi, ipotizzare che, benché una parte del virus verrà inattivato, una maggiore quota riesca a superare la neutralizzazione dell'acido cloridrico e, giunto nell'intestino tenue o meglio nel crasso, possa continuare a replicarsi. Di questo ne sono prova anche i disturbi intestinali prolungati di soggetti che presentano la malattia".
Pertanto, osserva ancora GIorlandino, "i futuri sforzi per la prevenzione e il controllo del coronavirus devono tenere in considerazione il potenziale di diffusione mediata dalle feci di questo virus. Se è vero, come risulta di tutta evidenza, che il virus liberato all'esterno con le feci, per lungo tempo dopo la scomparsa dall'orofaringe, è ancora infettante, la dinamica della prosecuzione della pandemia appare assumere un profilo molto preoccupante e finora non tenuto in alcun conto con aggravio del pericolo sociale, dal momento che l'agente virale tornerà sulla superficie delle mucose naso-oro-faringee per essere nuovamente liberato nell'ambiente e trasmesso ai non immuni". Per ottenere "un patentino di immunità completa, a questo punto - conclude l'esperto - servirà una duplice condizione: presenza di anticorpi di classe G con attenuazione/ scomparsa degli anticorpi di classe M e assenza del virus nelle feci". Lo studio è stato sottoposto al Journal of Virology.
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