Secondo il segretario dell'Anaao in realtà i posti sono 7500
Hanno scatenato la reazione dei medici le affermazioni del commissario all'emergenza Covid Domenico Arcuri, secondo il quale al momento "non c'è pressione sui reparti di terapia intensiva". Arcuri fa infatti riferimento ad un totale di 11.300 posti nelle rianimazioni, ma anestesisti e medici sottolineano come tali posti siano solo "sulla carta" e come il personale sia già ora insufficiente. "Al picco abbiamo avuto nel nostro Paese circa 7 mila pazienti in rianimazione, duemila di più della totale capienza dei reparti. Oggi abbiamo circa 10 mila posti di terapia intensiva e arriveremo a 11.300 nel prossimo mese. Attualmente ci sono circa 3.300 ricoverati in terapia intensiva per Covid, quindi la pressione su questi reparti non c'è", aveva rimarcato ieri Arcuri.
Alle cifre del commissario ribatte Carlo Palermo, segretario del maggiore dei sindacati dei medici ospedalieri, l'Anaao-Assomed. I posti di terapia intensiva oggi disponibili ed attivi in Italia, precisa, "sono valutabili intorno a 7.500.
In risposta ad Arcuri interviene anche Antonio Giarratano, presidente della Società Italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia Intensiva (Siaarti), avvertendo come "in realtà, nelle regioni rosse la pressione è quasi insostenibile e in quelle arancioni è molto ma molto pesante. Sostenere che 10.000 ventilatori possano garantire un sufficiente margine per sostenere questa crescita esponenziale di ricoveri in terapia intensiva - afferma -. significa pensare che basti saper accendere un ventilatore per salvare una vita. Purtroppo non è cosi". Sulla stessa linea anche il direttore del dipartimento di Microbiologia e Virologia all'Università di Padova Andrea Crisanti, che ha rimarcato come "un posto di terapia intensiva non si crea solo accendendo un ventilatore. C'è dietro tutta una struttura, ci sono competenze difficili da moltiplicare. Perché non si moltiplicano i letti senza utilizzare infermieri e rianimatori". Un rianimatore, ha concluso, "ci vogliono anni a formarlo, e più posti letto segue, più è difficile per lui curare i pazienti".
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