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Alfa-mannosidosi, il fattore tempo è fondamentale

Malattie Rare Redazione DottNet | 29/10/2021 17:03

La malattia metabolica ultra-rara a trasmissione autosomica recessiva colpisce circa un neonato ogni 500mila

Diagnosi precoce e ricorso tempestivo al trattamento per stabilizzare la patologia. È il fattore tempo a essere fondamentale per le persone con alfa-mannosidosi, una malattia metabolica ultra-rara a trasmissione autosomica recessiva che colpisce circa un neonato ogni 500mila. Necessità evidenziate anche nel corso di un incontro online – organizzato da Osservatorio Malattie Rare in collaborazione con AISMME Aps (Associazione Italiana Sostegno Malattie Metaboliche Ereditarie) AIMPS Aps (Associazione Italiana Mucopolisaccaridosi), e con il contributo non condizionante di Chiesi Global Rare Diseases Italia – durante il quale medici e pazienti si sono confrontati in un’azione di sensibilizzazione e aggiornamento sulla patologia.

L’alfa-mannosidosi, infatti, è una malattia da accumulo lisosomiale che appartiene al sottogruppo delle oligosaccaridosi ed è dovuta alla mutazione del gene MAN2B1. I sintomi variano da paziente a paziente, ma la patologia è essenzialmente caratterizzata da immunodeficienza (che si manifesta con infezioni ricorrenti), anomalie scheletriche, dismorfismi facciali, sordità neurosensoriale e deficit graduale delle funzioni mentali e del linguaggio. Ricevere una diagnosi tempestiva può fare la differenza, come pure venire in contatto con qualcuno che conosca approfonditamente la malattia. “Per questo motivo è necessario informare non solo i pazienti, ma anche i clinici. Il pediatra, in particolar modo, deve essere a conoscenza dell’esistenza di questa malattia e indirizzare subito la famiglia verso il percorso giusto”, ha evidenziato Serena Gasperini, UOS Malattie Metaboliche Rare, Fondazione MBBM, Azienda Ospedaliera San Gerardo-Monza.

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“L’alfa-mannosidosi è una patologia difficile da riconoscere dal punto di vista clinico anche se semplice da diagnosticare dal punto di vista tecnico: dosando i livelli dell’enzima alfa-mannosidasi lisosomiale si capisce subito se l’individuo ne è affetto. Questo esame, tuttavia, non si effettua nella routine clinica – ha affermato Maurizio Scarpa, Centro coordinamento Malattie Rare, Azienda Sanitaria Universitaria integrata di Udine e Coordinatore rete MetabErn – È un esame che si esegue sulla base di precise indicazioni e in laboratori specializzati, per cui è fondamentale che i pediatri di libera scelta o i medici specialisti conoscano la patologia nelle sue caratteristiche. Qual è il rischio? Nei casi più attenuati, se lo specialista non ne sospetta la presenza, la diagnosi può arrivare tardi o non arrivare mai”.

Il risultato ottenuto dal dosaggio dell’alfa-mannosidasi lisosomiale può essere confermato anche da test genetici. Così come è possibile porre diagnosi di malattia in epoca neonatale. “In teoria si potrebbe ottenere una diagnosi di questo tipo quando, in un territorio, risulta attivo lo screening neonatale effettuato mediante un’indagine enzimatica. Nella pratica, però, trattandosi di una patologia a bassa incidenza essa non è stata inserita nel panel dello screening neonatale esteso (SNE). Non solo: non dimentichiamoci che attualmente nelle regioni italiane solo alcune malattie da accumulo lisosomiale sono sottoposte a screening neonatale”, ha dichiarato Manuela Vaccarotto, Vice presidente AISMME Aps. Da tempo il Gruppo di Lavoro SNE ha chiesto al Ministero della Salute di inserire le patologie lisosomiali nel programma di screening neonatale esteso, ma ad oggi non ci sono documenti ufficiali in merito.

Per quanto riguarda il trattamento dell’alfa-mannosidosi, esso è finalizzato a modificare il decorso di malattia contrastandone la progressione. “Fino a qualche anno fa non c’erano molte possibilità terapeutiche per i pazienti e per tanto tempo l’unica opzione era quella sintomatica, basata su cicli di fisioterapia, riabilitazione motoria, logopedia e somministrazione di farmaci per correggere l’immunodeficienza – ha spiegato Elena Verrecchia, Dirigente medico dell’Unità Operativa Complessa di Continuità Assistenziale della Fondazione Policlinico Universitario “A. Gemelli” IRCCS di Roma – Ma nel 2018 è arrivata una terapia specifica, la enzimatica sostitutiva a base di velmanase alfa, che permette un rallentamento della progressione della patologia con conseguente miglioramento delle condizioni generali e della qualità di vita. E i benefici sono tanto maggiori quanto più precocemente si inizia il trattamento”. Anche il lavoro delle associazioni può essere determinante nella gestione dell’alfa-mannosidosi: “Promuovere lo sviluppo delle capacità sociali attraverso un supporto educativo è sicuramente uno degli obiettivi prefissati dalle realtà associative perché lo screening neonatale obbligatorio è troppo importante – ha sostenuto Flavio Bertoglio, Presidente AIMPS Aps – Fare rete tra i pazienti e le associazioni significa soddisfare le esigenze di informazione personali delle famiglie oltre ad agevolare lo scambio di esperienze sulla malattia e avere un peso diverso con le istituzioni”.

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