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Malattie rare: mucopolisaccaridosi, funziona la terapia genica

Malattie Rare Redazione DottNet | 06/06/2022 19:36

I test su 9 pazienti, eseguiti da ricercatori dell'Istituto Telethon di genetica e medicina (Tigem) di Pozzuoli, hanno dato risultati positivi e consentito di confermare la sicurezza di questo approccio e la sua efficacia

Una terapia genica che corregge il difetto genetico alla base della malattia è potenzialmente in grado di curare la mucopolisaccaridosi di tipo 6, rara malattia metabolica di origine genetica. I test su 9 pazienti, eseguiti da ricercatori dell'Istituto Telethon di genetica e medicina (Tigem) di Pozzuoli, hanno dato risultati positivi e consentito di confermare la sicurezza di questo approccio e la sua efficacia. I risultati della sperimentazione sono stati pubblicati sulla New England Journal of Medicine - Evidence La mucopolisaccaridosi di tipo 6 è una malattia rara causata da alterazioni a carico del gene ARSB che provocano la carenza di un enzima. Da ciò deriva l'accumulo nelle cellule di una sostanza chiamata dermatansolfato.

Attualmente è disponibile una terapia enzimatica sostitutiva, che però costringe i pazienti a sottoporsi per tutta la vita a periodiche infusioni e che inoltre non riesce a raggiungere alcuni organi colpiti, tra cui le ossa.  "La terapia genica può superare questi limiti", spiega Alberto Auricchio, coordinatore del Programma di Terapia Molecolare al Tigem di Pozzuoli. "Molti anni di ricerca in laboratorio ci hanno permesso di sviluppare e testare un vettore di origine virale capace di trasportare una versione corretta del gene difettoso nei pazienti.

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Somministrato una volta sola attraverso il sangue, il vettore può raggiungere le cellule del fegato e indurle a produrre in maniera stabile, per anni, l'enzima responsabile dello smaltimento del dermatansolfato". La sperimentazione ha coinvolto nove pazienti di età compresa tra i 5 e i 29 anni che hanno ricevuto diversi dossi della terapia. "I pazienti che hanno ricevuto questo nuovo farmaco non hanno avuto effetti avversi", spiega Nicola Brunetti-Pierri, responsabile della ricerca traslazionale del Tigem di Pozzuoli. "Inoltre, dopo l'infusione siamo riusciti per la prima volta a rilevare l'enzima nel sangue, cosa impossibile prima in questi pazienti: una dimostrazione di come il trasferimento genico abbia effettivamente funzionato. Chi ha ricevuto una dose di farmaco bassa o media ha avuto dei miglioramenti, ma non sufficienti per sospendere completamente la terapia enzimatica.   Quelli che invece hanno ricevuto la dose più alta sono tuttora liberi dalla terapia enzimatica".    I ricercatori continueranno ora a monitorare i pazienti, per valutare nel tempo gli effetti della correzione genica e il loro stato di salute.

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