Durante l’intervento i medici avevano però trasfuso ugualmente la paziente, ritenendo che di fronte al pericolo di vita il rifiuto espresso in precedenza non fosse più valido
“La Corte di Cassazione – sezione III civile ha emesso la sentenza 26209/22 con cui ha accolto il ricorso di una paziente Testimone di Geova a cui era stata effettuata una trasfusione di sangue contro la sua volontà. Il dissenso espresso prima dell’intervento secondo la Corte doveva essere rispettato dai medici perché “la necessità della trasfusione era stata logicamente indicata come consustanziale all’intervento da effettuare, e rispetto a – ovvero in funzione di – tale specifica possibilità, concreta per quanto non già di presente evidenza, vi era stato espresso dissenso”. Lo rende noto l'Agenzia Dire. .
“Prima di sottoporsi a un intervento chirurgico la donna aveva più volte espresso il suo rifiuto alle trasfusioni di sangue per motivi religiosi e dopo essere stata informata dei rischi specifici a cui si esponeva, aveva consegnato ai medici un documento con le proprie disposizioni anticipate di trattamento.
“La Suprema Corte ha cassato la decisione di appello con rinvio alla Corte d’Appello- prosegue la nota- affinché emetta una nuova sentenza basata sui principi di inviolabilità della libertà personale, salute, autodeterminazione sanitaria, libertà religiosa e laicità dello Stato intesa ‘come tutela del pluralismo, a sostegno della massima espansione della libertà di tutti, secondo criteri di imparzialità’. Poiché i fatti risalgono al 2009, i giudici non potranno però applicare le nuove norme della Legge 219/2017 sulla validità del consenso informato e le Dat. La sentenza ribadisce quali sono i criteri perché il dissenso sia ritenuto valido. Vi si legge: ‘Le condizioni per il dissenso espresse prima del trattamento sanitario sono quelle di una puntuale, espressa e attuale dichiarazione dalla quale inequivocamente emerga la volontà di impedire la trasfusione anche in ipotesi di pericolo di vita’. In merito alla posizione del medico la Corte afferma inoltre che sebbene un paziente non possa pretendere che il medico pratichi l’intervento chirurgico in cui la necessità di sangue sia consustanziale (cioè prossima al 100%), tuttavia, se il chirurgo ‘accetta d’intervenire, dovrà farlo alle condizioni di rispettare il dissenso del paziente, diversamente integrandosi la lesione del diritto all’autodeterminazione di quest’ultimo’”. “La Suprema Corte ha dunque confermato che il dissenso di un paziente a un trattamento sanitario, ben documentato, resta valido e i medici devono rispettarlo anche se il paziente si venga poi a trovare in pericolo di vita perché, chiariscono i giudici, ‘la libera scelta che il soggetto compie su di sé, non può cedere a fronte di quella volta alla tutela del suo utile perimetro sanitario’“.
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