Fare uno screening oculistico nei primi tre anni di vita è “fondamentale”, perché permette di intercettare precocemente patologie congenite e non
"Uno dei motivi per cui è importante fare lo screening neonatale è la diagnosi precoce della cataratta congenita, presente circa nello 0,4% dei neonati, quindi in 1 ogni 250". Lo ha detto il professor Luca Buzzonetti (nella foto), Responsabile UOC dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma e socio di AIMO, intervenendo all’incontro dal titolo ‘Come si visita un bambino?’, che si è svolto nell’ambito del 13esimo Congresso Nazionale dell’Associazione Italiana Medici Oculisti, il primo organizzato congiuntamente con la Società Italiana di Scienze Oftalmologiche (SISO). L’evento, che si è aperto ieri nella Capitale, è in programma fino a domani presso le aule del Centro Congressi Europa dell’Università Cattolica del Sacro Cuore (Largo Francesco Vito, 1). "Per fortuna- ha proseguito Buzzonetti- i nuovi Lea (Livelli essenziali di assistenza) prevedono da qualche anno un protocollo che coinvolge tutti i punti nascita, proprio per evitare che la diagnosi di patologie così importanti sfugga" .
Più in generale, uno screening oculistico nei primi tre anni di vita è "fondamentale", perché permette di intercettare precocemente patologie congenite e non che, anche se molto raramente, possono purtroppo avere un impatto anche sulla sopravvivenza del bambino- ha fatto sapere l’esperto- penso al retinoblastoma, un tumore maligno primitivo della retina diagnosticato nella quasi totalità dei casi in età pediatrica, prevalentemente nei primi 24 mesi di vita, con un'incidenza di un caso ogni 17mila nascite, pari a circa 40 nuove diagnosi l'anno in Italia.
Nel corso dell’incontro si è quindi discusso dell’importanza di una collaborazione sempre più stretta ma soprattutto "ordinata" tra pediatri e oculisti, perché il margine tra le due professioni "spesso è vago- ha sottolineato il primario del Bambino Gesù- per cui gli oculisti si ritrovano non di rado a visitare bambini con problemi anche importanti della vista, che arrivano tardi alla prima visita, per la verità anche spesso per colpa dei genitori che non considerano la visita oculistica necessaria. E questo è un problema di educazione sanitaria". Anche per queste ragioni l’idea di organizzare durante la sessione congressuale una sorta di ‘faccia a faccia’ tra pediatra e oculista, che si sono confrontati "proprio per capire meglio dove sono le mancanze dell’uno e dell’altro".
Tornando però al titolo della sessione, cioè ‘Come si visita un bambino?’, a dare suggerimenti ancora una volta è stato il professor Buzzonetti: "Visitare un bambino molto piccolo di solito non è particolarmente complesso- ha detto- mentre è intorno ai 2/3 anni che le difficoltà aumentano incredibilmente. I piccoli pazienti piangono e si ribellano, quindi è più difficile visitarli. L’oculista allora deve essere pronto a sfruttare quel breve momento in cui è possibile valutare il bambino. Ovviamente parliamo di visite ambulatoriali, perché, laddove ci sono dubbi su patologie gravi, i bambini piccoli devono necessariamente essere addormentati per poter effettuare una visita oculistica completa". Con i più piccoli è quindi necessario imparare ad attirare la loro attenzione, "sfruttando quell’istante in cui il bambino ci dà retta ed è orientato con lo sguardo nella nostra direzione", ha consigliato il professor Buzzonetti, secondo cui mediamente l’oculista con scarsa abitudine ai pazienti pediatrici è "un po’ spaesato di fronte al bambino, non sapendo esattamente come approcciarsi ad un paziente così speciale".
Quando il bambino è molto piccolo, in conclusione, "non sono molte le cose da esaminare nel corso della visita oculistica, però si tratta di aspetti che possono risultare fondamentali per lo sviluppo di una buona visione, incidendo quindi poi per tutta la vita.". Infine, una bonaria osservazione verso i genitori: "Spesso, durante le visite, diventa più complesso gestire i genitori o i nonni rispetto ai bambini. Le mamme e i papà oggi hanno mediamente un’età più alta, così accade che da una parte sono maggiori le loro ansie e dall’altra che, per come spesso inevitabilmente sono organizzate le nostre vite, abbiano meno tempo da dedicare ai propri figli, e, dunque, ne percepiscano con minor prontezza anche le problematiche visive. E questo insieme di elementi può costituire senza dubbio un incrocio "esplosivo" che, dal nostro punto di vista, può creare ulteriori difficoltà", ha concluso infine Buzzonetti.
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