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Cure domiciliari Covid: ridotta la mortalità allo 0,2 per cento

Medicina Generale Redazione DottNet | 11/11/2022 13:56

Gli autori dell’analisi hanno esaminato le caratteristiche, la gestione e gli esiti all’interno dell’Associazione IppocrateOrg

Le cure precoci domiciliari applicate dai medici volontari nell’ambito della rete collaborativa di IppocrateOrg, da novembre 2020 a marzo 2021, hanno ridotto la letalità del SARS-CoV-2 dal 3% allo 0.2%. Ad affermarlo è uno studio pubblicato il 18 ottobre 2022 sul Journal of Clinical Medicine (MDPI), il primo al mondo che descrive i comportamenti dei medici che si sono presi cura dei pazienti ambulatoriali COVID-19 e delle conclusioni che questi hanno ottenuto.

Gli autori dell’analisi hanno esaminato le caratteristiche, la gestione e gli esiti all’interno dell’Associazione IppocrateOrg. Lo studio include 392 pazienti curati da 10 medici ed è la più numerosa casistica italiana disponibile nella letteratura medica e scientifica.

I pazienti avevano in media 48,5 anni (range: 0,5-97) e sono stati curati allo stadio COVID-19 0 (15,6%), allo stadio 1 (50,0%), allo stadio 2a (28,8%) e allo stadio 2b (5,6%). Molti di questi ultimi erano obesi (11,5%) o in sovrappeso (26%) e presentavano delle patologie pregresse (34,9%), principalmente cardiovascolari e metaboliche. I farmaci più frequentemente prescritti ai pazienti includevano vitamine e integratori (98,7%), aspirina (66,1%), antibiotici (62%), glucocorticoidi (41,8%), idrossiclorochina (29,6%), enoxaparina (28,6%), colchicina (8,9%), ossigenoterapia (6,9%) e ivermectina (2,8%).

L’ospedalizzazione si è verificata nel 5,8% dei casi e in particolare nella fase 2b (27,3%) ma, su un totale di 392 pazienti, il 99,6% è guarito: un paziente è stato perso al follow-up ed un paziente è morto dopo il ricovero in ospedale.

La letalità in questa casistica è stata quindi dello 0,2%, mentre complessivamente nello stesso periodo, in Italia è stata superiore al 3%. Inoltre, nessun effetto avverso di rilievo è stato associato ai farmaci impiegati.

Lo studio, già disponibile in preprint dallo scorso aprile sul sito internet MedrXiv, è stato reso liberamente accessibile dopo la revisione paritaria del Journal of Clinical Medicine, rivista scientifica inclusa da PubMed e attualmente collocata tra le migliori riviste mediche internazionali.

Gli autori, nella conclusione dello studio, hanno commentato così i risultati ottenuti (tradotto): “Ci aspettiamo che le prove attuali saranno attentamente considerate dai medici che si prendono cura dei loro pazienti COVID-19 e dai decisori politici responsabili della gestione dell’attuale crisi globale.”

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