Il progetto affronta il tema secondo il concetto condiviso di community care, con un modello di rete interdisciplinare e intersettoriale che sviluppa rapporti tra Comune, Aziende sanitarie, famiglie e caregiver, mondo scientifico, associazioni, istit
Il progetto affronta il tema secondo il concetto condiviso di community care, con un modello di rete interdisciplinare e intersettoriale che sviluppa rapporti tra Comune, Aziende sanitarie, famiglie e caregiver, mondo scientifico, associazioni, istituzioni pubbliche e private
Presentato alla quarantunesima Assemblea nazionale Fand-Associazione italiana diabetici, conclusasi ieri a Rimini, l’innovativo progetto di "Rete clinica diabetologica assistenziale sociosanitaria", che si pone l’obiettivo di definire, e applicare in alcune regioni italiane, un modello che favorisca il superamento delle difficoltà ancora esistenti per una piena integrazione sociosanitaria della persona a rischio o con diabete. «E’ un progetto innovativo, per rispondere alle esigenze delle persone con diabete, che individua le modalità per costruire una rete intorno al paziente, elemento essenziale su cui poggiare tutto il sistema di cure integrate, che tenga conto di alcune peculiarità dell’assistenza diabetologica.
«Un’idea cui Fand ha contribuito e che ci vede pienamente coinvolti sia in fase progettuale sia nella sua auspicabile attuazione, in quelle realtà regionali cui si deciderà di proporlo», ha detto Emilio Augusto Benini, Presidente Fand-Associazione italiana diabetici.
Il progetto affronta il tema secondo il concetto condiviso di community care, con un modello di rete interdisciplinare e intersettoriale che sviluppa rapporti tra Comune, Aziende sanitarie, famiglie e caregiver, mondo scientifico, associazioni, istituzioni pubbliche e private. Alla base è necessario assicurare una forte collaborazione con i Comuni e le Associazioni delle persone con diabete e dei loro familiari, al fine di agevolare l’avvio e l’attuazione di percorsi terapeutici ed assistenziali-esistenziali, che tengano conto del progetto di vita della persona e quindi non solo degli aspetti clinici, ma anche sociali. «Già con il "Piano nazionale della cronicità" del 2016 abbiamo cercato di superare le fratture esistenti fra sanità, istruzione, lavoro, urbanistica, ambiente consolidando il consenso sul principio che la sfida al diabete - esempio paradigmatico di malattia cronica - è una ‘sfida di sistema’, che deve andare oltre i limiti delle diverse istituzioni, superare i confini tra servizi sanitari e sociali, promuovere l’integrazione tra differenti professionalità, attribuire un’effettiva ed efficace centralità alla persona e al suo progetto di cura e di vita», ha detto ancora Pisanti.
Il modello propone una rete diversa dal classico "hub e spoke", con un centro d’eccellenza collegato come i raggi di una ruota a centri periferici; va un poco oltre: «un modello che risponda ai bisogni delle persone con diabete può essere identificato nella ‘Rete clinica-assistenziale sociosanitaria detta ad arcipelago’», secondo la definizione di Pisanti. Fanno, infatti, parte della rete, non solo i suoi "nodi", cioè gli elementi costitutivi come medici e servizi di diabetologia, in grado di assicurare la presa in carico dei pazienti, ma anche i servizi che erogano prestazioni sociali nell’ambito dell’iter diagnostico-terapeutico.
L’attivazione di un simile modello, inoltre, non dipende, necessariamente, da disposizioni normative nazionali o regionali, bensì, più frequentemente, dall’azione progettuale che le istituzioni locali - sanitarie e comunali - sono in grado di svolgere. «Si tratta, in buona sostanza, di potenziare da un lato l’obiettivo generale e strategico della "salute in tutte le politiche", dall’altro gli interventi per agire sui determinanti sociali, economici, ambientali e comportamentali della salute anche a livello complessivo: ambiente, condizioni di lavoro, sostegno sociale, scuola» ha concluso Paola Pisanti.
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