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Cassazione, esame diagnostico: il medico ha la responabilità di leggere correttamente le immagini

Medlex Redazione DottNet | 01/09/2023 18:43

La carenza della necessaria specializzazione non esclude la colpa per una erronea interpretazione dei suoi esiti

Grava sul medico che esegue un esame diagnostico la responsabilità di leggere correttamente le relative immagini, senza che la carenza della necessaria specializzazione possa escludere la colpa per una erronea interpretazione dei suoi esiti. Diversamente operando, l’ imperizia della condotta posta in essere si tradurrebbe in un “ingiustificato vuoto di tutela”. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione (ordinanza n.17410/2023) che ha rigettato il ricorso contro la sentenza con quale la Corte di Appello dell’Aquila aveva confermato la condanna al risarcimento dei danni emessa dal Tribunale nei confronti di un ginecologo, perché ritenuto responsabile della morte di una paziente avvenuta in conseguenza di un errore diagnostico: una (inesistente) “cisti liquida” in luogo di “un quadro morfologico di deterioramento della parete intestinale”.


Più precisamente, la Corte di appello aveva evidenziato che “una corretta analisi ecografica avrebbe dovuto indurre il ginecologo a correlare i sospetti ai forti dolori addominali manifestati in anamnesi, indirizzando la paziente all'immediato ricovero ospedaliero per accertamenti”.

LE CONTESTAZIONI DEI PRECEDENTI GRADI DI GIUDIZIO

Gli attori (prossimi congiunti della paziente deceduta) ritenendo che la morte fosse addebitabile alla condotta gravemente colposa dei dottori R. e M., per il ritardo nella diagnosie alle numerose mancanze dei sanitari della struttura che avevano sottovalutato lo stato di tossicità in cui versava la B., avevano dunque convenuto, oltre ai due specificati medici coinvolti nella fase precedente al ricovero, anche quelli interessati dalla fase successiva, chiedendo la rifusione dei conseguenti danni anche non patrimoniali.

Il Tribunale aveva accolto la domanda con pronuncia confermata dalla Corte di appello secondo cuiil medico (ricorrente in Cassazione) aveva omesso di specificare l’urgenza del ricovero nella sua annotazione, né l’aveva rappresentata alla paziente in modo da permetterle di verificare l’effettiva causa dei dolori che l’avevano indotta a rivolgersi al medesimo, e anzi aveva prescritto analisi, per markers tumorali ovarici, incompatibili con la discussa urgenza.

Il deducentecome specificato dal consulente del giudice civileaveva altresì compiuto un errore di refertazione ecografica, indicando come formazioni anecogene le immagini riferite con tutta probabilità ad anse intestinali dilatate e fisse alla parete addominale; – una corretta analisi ecografica avrebbe dovuto indurre il deducente a correlare i sospetti ai forti dolori addominali manifestati in anamnesi, indirizzando la paziente all’immediato ricovero ospedaliero per accertamenti; di qui la condotta gravemente colposa, in concorso causale, imputata.

MOTIVI DEL RICORSO

  • con il primo motivo il ricorrente contestava l’omesso esame di un fatto decisivo e discusso, poiché la Corte di appello avrebbe omesso di considerare la specificazione della 5 consulenza giudiziale a mente della quale l’indicazione del ricovero avrebbe eliso l’efficacia causale dell’errore diagnostico del deducente;
  • con il secondo motivo censurava la mera apparenza della motivazione della Corte territoriale, che non avrebbe spiegato le eventuali differenze incidenti tra ricovero d’urgenza o meno, e la ragione per cui anche un ginecologo, senza le competenze specialistiche dell’internista, avrebbe dovuto cogliere la necessità del ricovero urgente stesso;
  • con il terzo motivo prospettava la violazione e falsa applicazione degli artt. 1176, secondo comma, e 2236, cod. civ., poiché la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare che la diversa specializzazione in ginecologia del deducente impediva di addebitargli l’imperizia ipotizzata nella refertazione ecografica e nell’errore diagnostico commesso, in tesi, con riferimento a una patologia intestinale, con l’identica carenza strumentale che aveva indotto, il medesimo giudice di secondo grado, a escludere una colpa rilevante in capo al medico di base, che pure aveva visitato la paziente nella fase precedente il ricovero, laddove l’intervento chirurgico urgente era stato disposto, infatti, solo all’esito del secondo accesso al Pronto Soccorso ospedaliero dopo plurimi esami strumentali.

L’ordinanza dellaSuprema Corte
Il ginecologo aveva sostenuto che la Corte di territoriale non avrebbe tenuto della sua specializzazione e che ciò “impediva di addebitargli l’imperizia ipotizzata nella refertazione ecografica e nell’errore diagnostico commesso”. Tesi che non ha colto nel segno. Il Supremo Collegio ha affermato che il ginecologo aveva la responsabilità di leggere “correttamente” le immagini ecografiche oltre che la “connessa responsabilità di corredare quelle stesse immagini […] alla specifica anamnesi, così da indirizzare, senza ulteriore ritardo, la paziente presso strutture in grado di risolvere tempestivamente la criticità diagnostica”. Da qui il principio stabilito dall’ordinanza in narrativa secondo cui “la distinta specializzazione medica non esclude la colpa di chi, eseguendo un esame e dunque assumendosi la responsabilità di quello, lo referta in modo erroneo e senza indirizzare ai necessari approfondimenti con la cautela e tempestività del caso concreto”. Principio che il Supremo Collegio ha più volte ribadito. Basta citare la sentenza n.37728/ 2022 nella parte cui afferma che “il medico radiologo, essendo al pari di altri sanitari, tenuto alla diligenza specifica di cui all’art. 1176, comma 2, del codice civile, non può limitarsi a una mera e formale lettura degli esiti dell'esame diagnostico effettuato, ma, allorché tali esiti lo suggeriscano (e dunque ove si tratti di esiti c.d. aspecifici del quadro radiologico), è tenuto ad attivarsi per un approfondimento della situazione, dovendo, quindi, prospettare al paziente anche la necessità o l'esigenza di far fronte ad ulteriori e più adeguati esami".

Nel dettaglio le motivazioni della Cassazione su inammissibilità e infondatezza.

Il vizio di violazione dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., non è denunciabile stante la doppia conforme delle decisioni di merito; parte ricorrente sostiene che le decisioni in parola sarebbero “parte qua” diverse, atteso che il Tribunale avrebbe dato autonomo rilievo causale all’errore diagnostico, mentre per la Corte di appello lo stesso avrebbe avuto rilievo solo perché avrebbe impedito all’odierno ricorrente di disporre il ricovero d’urgenza; la ricostruzione non viene condivisa dalla Cassazione.

Il Tribunale ha sottolineato l’errore da imperizia specificandone l’incidenza nel senso di evincerne che il dottore non aveva quindi «dato sufficiente[mente] importanza ad un quadro morfologico di deterioramento della parete intestinale che, di lì a qualche ora, avrebbe portato al quadro di addome acuto conclamato»; la Corte di appello, in modo del tutto sovrapponibile, ha evidenziato che l’errore diagnostico conseguente a quello di refertazione, se non commesso, avrebbe potuto e dovuto indurre il dottore a prescrivere il ricovero d’urgenza; in entrambi i percorsi argomentativi, non sezionabili artificialmente, si rimarca l’imperizia e la si correla al ritardo, ritenuto decisivo, nel condurre ai necessari interventi urgenti, infine eseguiti quando la situazione clinica era ormai inevitabilmente compromessa; da quanto appena esposto emerge che non è ipotizzabile alcuna motivazione apparente: la Corte territoriale ha accertato in fatto che il ritardo colposo è stato causalmente efficiente in termini probabilistici, e, in questa cornice, funzionale alla decisione, è del tutto evidente che non è necessario esplicitare la differenza tra procedura di urgenza e procedura senza questa connotazione; nella sostanza la censura si risolve nel surrettizio tentativo di un nuovo apprezzamento del compendio probatorio, estraneo alla presente sede di legittimità.

Quanto al tema della specializzazione medica del ginecologo e non internista, la Cassazione specifica che il motivo non riesce conclusivamente a cogliere nel segno; eseguendo egli l’ecografia addominale: a) aveva la responsabilità di leggere correttamente le relative immagini ovvero, b) nella consapevolezza dei limiti derivanti dalla propria competenza settoriale, ma pur sempre cointeressata dalle verifiche quanto meno per esclusione delle ipotesi superficialmente formulate (dismenorrea), ovvero ancora nella consapevolezza dalla mancanza di ulteriori strumenti di opportuna indagine, c) aveva la connessa responsabilità di correlare quelle stesse immagini a dubbi, infatti, variamente insorti – e la cui presa in considerazione non può che far parte del bagaglio professionale del medico – in uno alla significativa e specifica anamnesi nel caso già emersa e persistente, così da d) indirizzare, nello specifico, senza alcun ulteriore ritardo, la paziente, come osservato dalla Corte territoriale, presso strutture in grado di risolvere tempestivamente la criticità diagnosticain alcun modo può, cioè, avallarsi la conclusione per cui la distinta specializzazione medica esclude la colpa di chi, eseguendo un esame e dunque assumendosi la responsabilità di quello, lo referta in modo erroneo e senza indirizzare ai necessari approfondimenti con la cautela e tempestività del caso concreto, traducendosi, altrimenti, la grave imperizia della condotta posta in essere in uno speculare quanto ingiustificato vuoto di tutela; quindi – e in tal senso va integrata la motivazione del Collegio di merito – nella descritta condotta il profilo d’imperizia si estende alla necessità di vagliare gli opportuni dubbi nella formulazione della diagnosi – nel caso legati dal ricorrente solo alla ricerca di “markers” tumorali, incompatibile con l’urgenza del ricovero difatti non specificata nelle annotazioni – e, per il tramite di quelli, si salda con il profilo dell’imprudenza nonché, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa ricorrente che in tal modo scompone i profili in rilievo, con quello della negligenza, implicitamente quanto univocamente evincibili dalla motivazione del Collegio di merito (che non a caso sottolinea come la necessità e l’urgenza del ricovero non vennero rappresentate alla paziente come dovuto, al di là delle refertazioni: cfr., in equivalente logica, Cass., 07/07/2021, n. 19372), che ha affermato il principio secondo cui il medico di guardia è responsabile per la morte del paziente visitato e dimesso, con apposita prescrizione farmacologica, se sia configurabile il suo inadempimento nella forma di una condotta omissiva o di una diagnosi errata o di una misura di cautela non presa, ove l’evento di danno si ricolleghi deterministicamente, o in termini di probabilità, alla condotta del sanitario: è stata così confermata la sentenza impugnata che aveva ritenuto sussistente la responsabilità del sanitario per non aver avviato il paziente, in seguito deceduto per disseccazione aortica, presso qualsiasi struttura sanitaria in grado di effettuare i necessari approfondimenti clinici e strumentali a fronte di una sintomatologia dolorosa toracica persistente; (cfr. utilmente anche Cass., 23/12/2022, n. 37728, secondo cui «il medico radiologo, essendo, al pari degli altri sanitari, tenuto alla diligenza specifica di cui all’art. 1176, secondo comma, cod. civ., non può limitarsi a una mera e formale lettura degli esiti dell’esame diagnostico effettuato, ma, allorché tali esiti lo suggeriscano (e dunque ove, segnatamente, si tratti di esiti c.d. aspecifici del quadro radiologico), è tenuto ad attivarsi per un approfondimento della situazione, dovendo, quindi, prospettare al paziente anche la necessità o l’esigenza di far fronte ad ulteriori e più adeguati esami»).

In definitiva, la Suprema Corte, ha disposto che la responsabilità di leggere correttamente le immagini di un esame diagnostico incombe sul sanitario che lo esegue; pertanto, la carenza della necessaria specializzazione non può essere considerata un esimente di colpa.

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