Scompenso Cardiaco
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Utilizzo dei beta-bloccanti in pazienti con scompenso cardiaco

Scompenso Cardiaco Redazione DottNet | 23/04/2024 17:06

Secondo la Società Europea di Cardiologia i beta-bloccanti sono la terapia standard nei pazienti con insufficienza cardiaca. È stato dimostrato che riducono sia la morbilità che la mortalità e che contrastano gli effetti del sistema simpatico rallentando il battito cardiaco, riducendo le aritmie, diminuendo la contrattilità miocardica e diminuendo l’apoptosi e la fibrosi miocardica.

Lo scompenso cardiaco consiste nell'insufficienza del cuore nel pompare quantità adeguate di sangue agli organi del corpo, con la conseguenza che esso si accumula in aree come i polmoni o gli arti inferiori.[2] L'insufficienza cardiaca determina un progressivo deterioramento che causa la morte prematura delle cellule miocardiche. Quando il liquido inizia ad accumularsi negli organi del corpo, la condizione viene chiamata insufficienza cardiaca congestizia.[2] L’eziologia dell’insufficienza cardiaca congestizia si differenzia nell’età adulta da quella pediatrica.[3] Negli adulti, infatti, la malattia coronarica, l’ipertensione, i difetti valvolari acquisiti, le aritmie e l’infarto del miocardio sono le principali cause di scompenso cardiaco, mentre, nei bambini, i principali fattori che contribuiscono all’eziologia dello scompenso cardiaco sono i difetti cardiaci congeniti.[3] Questi ultimi hanno un'incidenza compresa tra 4 e 50 ogni 1.000 nati e un tempo erano considerati la principale causa di mortalità perinatale.3 L’insufficienza cardiaca differisce, a seconda dell’età evolutiva, in termini di caratteristiche, eziologia ed eliminazione dei farmaci.[3] Il trattamento farmacologico, di conseguenza, non è universale ma si distingue tra pazienti adulti e pediatrici.[3] Secondo la Società Europea di Cardiologia, gli agenti beta-bloccanti, combinati con diuretici e inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina (ACE) sono la terapia standard negli adulti. È stato dimostrato che riducono sia la morbilità che la mortalità e che contrastano gli effetti del sistema simpatico rallentando il battito cardiaco, riducendo le aritmie, diminuendo la contrattilità miocardica e diminuendo l’apoptosi e la fibrosi miocardica.[3] I beta-bloccanti sono molecole ampiamente utilizzate in grado di antagonizzare i recettori β-adrenergici (AR), che appartengono alla famiglia dei recettori accoppiati a proteine ​​G e che ricevono il loro stimolo dalle catecolamine endogene.[4] In particolare nel caso dell’insufficienza cardiaca con frazione di eiezione ridotta (HFrEF) sono indicati beta-bloccanti come carvedilolo, bisoprololo, metoprololo e nebivololo, che differiscono per i loro effetti vascolari periferici e la selettività per i recettori adrenergici.[4] Il trattamento della HFrEF con β-bloccanti può essere intrapreso alle dosi iniziali raccomandate che variano a seconda del beta-bloccante preso in esame, procedendo poi con la titolazione della dose ogni due settimane, con particolare attenzione all'insorgenza di bradicardia (<60 bpm) o ipotensione sintomatica (pressione arteriosa sistolica <90 mmHg) che può limitare un ulteriore aumento della dose .[4] Di seguito le raccomandazioni e le controindicazioni per l’uso dei 4 beta-bloccanti maggiormente impiegati in HFrEF.[4]

Bisoprololo: è un β-1 selettivo con dose iniziale raccomandata 1,25 mg/die e dose target 10 mg/die.[4]

Carvedilolo: è un antagonista puro (non selettivo, β-1, β-2, α) con dose iniziale raccomandata di 6,25 mg/die e con dose target di 50-100 mg/die.[4]

Metoprololo: farmaco β-1 selettivo con dose iniziale raccomandata 15,5-25 mg/die e dose target 200 mg/die.[4]

Nebivololo: farmaco β-1 selettivo con dose iniziale raccomandata 1,25 mg/die e dose target 10 mg/die.[4]

Principali controindicazioni per l’uso dei beta-bloccanti:

• Asma grave (la malattia polmonare cronica non è una controindicazione; l’asma non grave è una controindicazione relativa e, in questo caso, è necessario preferire beta-bloccanti come bisoprololo, metoprololo o nebivololo).[4]

• Blocco atrio-ventricolare (AV) di II grado o III grado (in assenza di un pacemaker permanente).[4]

La gestione medica dell'insufficienza cardiaca pediatrica, invece, è un aspetto delicato poiché manca di linee guida nazionali e internazionali; ad oggi essa comprende digossina, furosemide, idroclorotiazide e spironolattone e ACE inibitori; tuttavia, vista la grande efficacia dei beta-bloccanti nel trattamento degli adulti con insufficienza cardiaca congestizia è prevedibile che anche in pazienti pediatrici possano risultare utili ed ottenere risultati simili a quelli ottenuti negli adulti.[3]

Infine, controverso è l’uso dei beta-bloccanti in pazienti con scompenso cardiaco e fibrillazione atriale, due condizioni che facilmente si associano.[4] I dati dell’EuroHeart Failure Survey hanno riportato che circa il 20% dei pazienti con scompenso cardiaco presenta fibrillazione atriale e che la sua prevalenza raggiunge il 40% nei pazienti con malattia avanzata.[4] Tra queste due condizioni esiste un’interazione bidirezionale e complessa poiché lo scompenso cardiaco predispone alla fibrillazione atriale e quest’ultima a sua volta peggiora significativamente i sintomi e complica la gestione terapeutica dei pazienti con scompenso cardiaco.[4] Negli ultimi anni alcuni autori hanno messo in dubbio l’uso dei β-bloccanti nei pazienti affetti da HFrEF.[4] Nel 2014, Kotecha et al. hanno riferito tramite uno studio meta-analitico che la terapia con un β-bloccante era associata a una riduzione significativa della mortalità in diverse categorie di pazienti, ma non nei pazienti con fibrillazione atriale. In contrasto con la meta-analisi sopra menzionata, recenti studi hanno riportato che i β-bloccanti hanno un beneficio prognostico significativo anche nei pazienti con scompenso cardiaco e fibrillazione atriale. In particolare, un sottostudio , comprendente 1.376 pazienti con scompenso cardiaco, ha eseguito un'analisi propensity-matched considerando il trattamento con e senza β-bloccanti e ha riferito che durante un follow-up mediano di 37 mesi si è verificata un'associazione tra trattamento con β-bloccanti e tassi più bassi di mortalità per tutte le cause.[4] Ancora più recentemente una sottoanalisi su 958 pazienti con HFrEF e fibrillazione atriale hanno descritto che, al follow-up di 10 anni, i pazienti trattati con β-bloccanti avevano risultati migliori indipendentemente dal tipo di beta-bloccante assunto e che la sopravvivenza risulta migliorata parallelamente all’aumento della dose di β-bloccante.[4] Pertanto la questione rimane ancora aperta e controversa anche se l’uso di un β-bloccante mantiene ancora la sua importanza nei pazienti con scompenso cardiaco e fibrillazione atriale in comorbidità, e i β-bloccanti rappresentano i farmaci di prima scelta per controllare la frequenza cardiaca nei pazienti con fibrillazione atriale con EF <40%.[4]


 

Bibliografia:

  1. Tomasoni D, Adamo M, Lombardi CM, Metra M. Highlights in heart failure. ESC Heart Fail. 2019 Dec;6(6):1105-1127. doi: 10.1002/ehf2.12555. PMID: 31997538; PMCID: PMC6989277

  2. Sebastian R, Ullah S, Motta P, Das B, Zabala L. Anesthetic Considerations in Pediatric Patients with Acute Decompensated Heart Failure. Semin Cardiothorac Vasc Anesth. 2022 Mar;26(1):41-53. doi: 10.1177/10892532211044977. Epub 2021 Nov 3. PMID: 34730043.

  3. Alabed S, Sabouni A, Al Dakhoul S, Bdaiwi Y. Beta-blockers for congestive heart failure in children. Cochrane Database Syst Rev. 2020 Jul 23;7(7):CD007037. doi: 10.1002/14651858.CD007037.pub4. PMID: 32700759; PMCID: PMC7389334.

  4. Paolillo S, Dell'Aversana S, Esposito I, Poccia A, Perrone Filardi P. The use of β-blockers in patients with heart failure and comorbidities: Doubts, certainties and unsolved issues. Eur J Intern Med. 2021 Jun; 88:9-14. doi: 10.1016/j.ejim.2021.03.035. Epub 2021 Apr 30. PMID: 33941435.

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