Ricercatori dell’Università di Bari, L’Aquila e Pavia ha valutato in due studi distinti l’efficacia di una sofisticata tecnica di “neuromodulazione non invasiva” in emicranici in cui le molecole più recenti avevano fallito
Negli ultimi anni le terapie contro l’emicrania hanno fatto passi da gigante, grazie a farmaci sempre più mirati che hanno permesso di dare sollievo a pazienti un tempo pressoché incurabili. Nonostante questi successi però, esiste ancora una percentuale di persone che risultano refrattarie anche a queste cure: non si sa esattamente quanti perché le molecole più avanzate sono troppo recenti per avere dati accurati, ma si stima almeno il 10% del totale. Adesso, grazie a due studi italiani, c’è una speranza anche per loro: la neurostimolazione transcranica non invasiva.
Il primo è una sperimentazione condotta da un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Neurofisiologia dell’università di Bari e pubblicato sulla rivista scintifica internazionale Cephalalgia. Si è visto che mediante questa tecnica, detta iTBS, nel mese successivo al trattamento è stato possibile dimezzare il numero di attacchi emicranici e ridurre del 30% l’intensità del dolore degli attacchi residui. Intensità che poi cala ancora, fino al 50% nel mese ancora seguente. La neuromodulazione mediante campi magnetici utilizzata dai ricercatori agisce direttamente sui centri del dolore. Una seduta si svolge così: alla testa del paziente, seduto in poltrona, viene avvicinato un apparecchio contenente un coil, cioè una bobina che genera campi magnetici. Con un sistema di neuronavigazione il coil viene posizionato in corrispondenza dell’area cranica dove risulterà più efficace.
L’interesse verso queste tecniche è testimoniato anche fatto che quasi in contemporanea è stato pubblicato sempre su Cephalalgia un altro studio italiano alquanto simile, condotto in due centri, l’università dell’Aquila e quella di Pavia coordinati rispettivamente dalla prof.ssa Simona Sacco dalla prof.ssa Cristina Tassorelli e realizzati dai giorvani ricercatori Raffaele Ornello e Roberto De Icco. I due studi differiscono per la metodica scelta: in quest’ultimo è stata utilizzata l’applicazione di elettrodi che veicolavano corrente continua (anodo sulla parte anteriore del capo, catodo su quella posteriore) sempre con l’intento di agire sui meccanismi centrali, cerebrali, del dolore emicranico. E inoltre la stimolazione è stata abbinata alla terapia farmacologica con anticorpi monoclonali diretti contro il CGRP per valutare se potesse risultarne una sinergia, un potenziamento. Anche in questo caso nel follow up di un mese (dopo alcune sedute meno intensive dello studio precedente) si sono evidenziati benefici marcati, con una ulteriore riduzione del numero di attacchi di emicrania rispetto al gruppo di controllo, trattato solo con gli anticorpi monoclonali. Unico limite di questi studi è che sono stati condotti su piccoli numeri: il primo su 12 soggetti e il secondo su 15. Però sono una innovazione importante: della possibilità di affrontare l’emicrania agendo per via transcranica sui centri del dolore si parlava già da qualche tempo, ma dal punto di vista scientifico non c’erano dati chiari. Ora questi lavori, per il loro rigore, permettono di inquadrare questa tecnica con maggiore sistematicità. "I dati che abbiamo raccolto e i benefici che ne derivano sono ovviamente da approfondire vista l’esiguità del gruppo di pazienti" dice la prof.ssa de Tommaso, "ma anche molto incoraggianti. E questo ci ha spinto ad andare oltre senza perdere tempo: proprio in questi giorni stiamo iniziando, in collaborazione con altri centri cefalee SISC di Milano, Roma, Palermo e Latina, uno studio più ampio. Se confermerà l’efficacia di questa terapia, sarà nostra cura presentare i dati al Ministero della Salute chiedendo l’approvazione e la rimborsabilità della neuromodulazione non invasiva almeno per i pazienti refrattari ai farmaci".
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